BRINDISI – L’Happy Casa ha fatto cilecca: dopo due partite giocate in maniera perfetta, gli uomini di Vitucci sono rimasti schiacciati dall’ansia da prestazione, dalla paura di vincere e soprattutto da una Reyer Venezia maestra nell’imporre tatticamente la propria impronta sulle partite. D’altronde, l’ha fatto con la Virtus e con Milano, era immaginabile ci sarebbe riuscita anche con Brindisi…
Ciò non toglie che nella sconfitta ci siano tanti demeriti dei giocatori di Vitucci, riconosciuti nel post-partita anche dal coach biancazzurro, visibilmente contrariato per la prestazione sottotono di alcuni dei suoi, ed in particolare di Stone. A proposito: coach, ma perché non lo hai tenuto accanto a te in panchina per tutto il secondo tempo, dando spazio a chi davvero meritava?
Dicevamo dell’approccio mentale assolutamente deficitario dei biancazzurri, evidentemente non pronti a giocare partite di questo livello. Non appare un caso, infatti, che dei primi 21 punti realizzati, 18 li abbiano segnati i tre giocatori che l’anno scorso avevano giocato la finale contro Cremona, ovvero Banks, Zanelli e Brown. Questo dato, unito alla eccessiva fallosità dalla lunetta e alle percentuali disastrose al tiro nei primi 20 minuti (29% da due e 17% da tre), delinea un quadro piuttosto chiaro delle difficoltà ad entrare nella partita accusate dall’Happy Casa. Il problema, a differenza dell’anno scorso, non sembra pertanto potersi ricondurre alla stanchezza fisica, e un altro dato ci viene incontro: Brindisi ha dominato per larghi tratti la lotta a rimbalzo, ma soprattutto, quando il punteggio era sul 46 a 41, la valutazione recitava un insospettabile 55 a 40 per Brindisi, a riprova che a livello di produzione l’Happy Casa è stata addirittura superiore, ma non ha disposto della giusta lucidità per capitalizzare.
Quando poi Brindisi ha iniziato a segnare anche da lontano, riportandosi per ben tre volte sul -4, è calata l’intensità difensiva, concedendo a Venezia una marea di rimbalzi offensivi.
Insomma, il cuore, a quei livelli, non basta: serve anche la testa, e l’Happy Casa in finale non l’ha usata a sufficienza.
Un vero peccato per la società che ha reso possibile ancora una volta accarezzare questo sogno, facendo sentire per tre giorni i brindisini una comunità; una circostanza assolutamente non scontata. E peccato per Banks, Brown, Zanelli, Vitucci e Giofrè, che hanno dato per l’ennesima volta dimostrazione di provare devozione per questo gioco e per la città dove lo praticano. Infine un grazie al resto del roster e alla tifoseria per aver consentito a Brindisi di godere di una pubblicità positiva a livello nazionale, perché ne abbiamo un gran bisogno.