BRINDISI – Cos’è la verità? Se lo chiedeva Ponzio Pilato duemila anni fa e sappiamo tutti che fine abbia fatto chi diceva di portarla, la verità. Ma forse Pilato era un uomo moderno, un po’ avanti per i suoi tempi e sarebbe stato un perfetto personaggio pirandelliano. D’altronde, come ci insegna Pirandello, la verità non esiste o, meglio, ne esistono così tante che ognuno può costruirsene una autonomamente. Quindi perché affannarsi alla ricerca della verità, se tanto “al mondo non esiste pazzo più pazzo di chi crede di dire la verità.”
“Il berretto a sonagli“, commedia di Luigi Pirandello del 1916 in scena ieri al Nuovo Teatro Verdi, racconta un mondo dei primi del Novecento che è il mondo di oggi, i primi del Duemila, e sarà il mondo di sempre: il mondo delle apparenze, delle dissimulazioni, delle verità manipolate.
Su una scena borghese, si muovono personaggi borghesi che hanno tutte le manie della borghesia, compreso un esasperato istinto di autoconservazione. Se lo slancio di gelosia di Beatrice – moglie del Cavaliere che la tradisce con la giovane moglie del ragionier Ciampa, uomo al servizio del Cavaliere – la umanizza per buona parte della commedia, intorno a lei si muovono pupi, burattini. Lo dice Ciampa stesso, interpretato da un immenso Gianfranco Jannuzzo: “Siamo pupi […] Ogni pupo, signora mia, vuole portato il suo rispetto, non tanto per quello che dentro di sé si crede, quanto per la parte che deve rappresentar fuori.” Pupi, quindi, manichini, senza anima, manipolabili, maschere da indossare all’occorrenza per fingere, recitare una parte, nascondere la propria natura e velare la propria coscienza. Da qui l’invito a Beatrice da parte di Ciampa a dare una giratina allo strumento, alla corda civile: “Tutti abbiamo tre corde d’orologio in testa. La seria, la civile, la pazza. Dovendo vivere in società, ci serve la civile. […] Ci mangeremmo tutti, signora mia, l’un l’altro, come tanti cani arrabbiati.” Ci sbraneremmo, noi esseri umani; homo homini lupus, diceva Hobbes. Esseri egoisti le cui azioni sarebbero spinte solo dall’istinto di sopravvivenza e sopraffazione e le cui società nascono con un errore di programmazione: legami artificiali, basati sul timore reciproco. Ecco il perché della corda civile, una sorta di coscienza morale, di super-io freudiano che stana l’istinto, che tarpa le ali all’autenticità. Alla verità.
E’ una commedia paradossale, Il berretto a sonagli, che scopre il nervo più sensibile dell’uomo moderno: il prestigio sociale, che l’uomo è disposto a mantenere a costo di tutto, anche a costo di far crollare ogni certezza. Così, quando la verità (il tradimento) viene a galla per tutti e il paese comincia a mormorare, l’extrema ratio è una: creare una nuova verità, una post-verità diremmo oggi, la pazzia imposta a Beatrice: “Lo sappiamo tutti qua, che lei è pazza. E ora deve saperlo tutto il paese. Non ci vuole niente, sa, signora mia […] Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!”
Cala così, tra gli applausi convinti del pubblico brindisino, il sipario su uno spettacolo vivace, tragicomico, dove la gravità delle idee viene alleggerita da personaggi mirabilmente comici, su tutti Fifì e il delegato Spanò. Un ensemble di attori splendidi al servizio di una delle più rappresentative commedie pirandelliane, in cui il teatro diventa incontro-scontro tra le diverse interpretazioni del reale, in cui il pianto diventa risata e viceversa, in cui quello che succede diventa tutt’altro e questi novelli amleti borghesi che ragionano e s-ragionano rivelano le inquietudini che erano del primo Novecento e che sono di questa epoca isterica, fittizia e concreta, reale e immaginata. Dissonante e disarmonica, come l’uomo. Come noi.
F. Taurisano