Eduardo immortale, “Uomo e galantuomo” conquista il Verdi: applausi per Gleijeses e la sua compagnia
BRINDISI – Quando Eduardo De Filippo scrive “Uomo e galantuomo” è ancora un ragazzo, gli echi della sua esperienza con Scarpetta risuonano ancora nella struttura e nelle intenzioni della commedia. Una farsa in tre atti che si snoda tra le disavventure di una sgangherata ma ambiziosa compagnia di guitti che fa tappa in una località balneare in cui anche il pubblico “è balneare” e quelle del giovane e ricco don Di Stefano che, a sue spese, li fa alloggiare in un albergo, non senza lamentele da parte della cameriera alle prese con odori molesti e panni impropriamente stesi sulle terrazze. Di Stefano aspetta un bambino dalla sua misteriosa amante, donna di cui non sa neanche il nome e che lo riempie di bugie, le dice che riparerà, la sposerà perché è un galantuomo; il capocomico Gennaro aspetta anch’egli un figlio dalla prima attrice. È da qui che nascerà l’equivoco, lo scambio di persona, che innescherà la scia di comicità, di situazioni paradossali, di scene esilaranti leitmotiv di tutta la farsa eduardiana.
La regia di Armando Pugliese e la compagnia di fantastici attori guidata da Geppy Gleijeses ha animato ieri il Verdi portando sul palco questa divertente e divertita commedia che mette in scena la commistione di due umanità così diverse (la pigra e indolente borghesia di Di Stefano e l’eclettica e inventiva povertà del capocomico Gennaro e della sua disastrosa compagnia di attori) ma in fondo così uguali (entrambi, infatti, saranno costretti a usare lo stesso espediente per uscire dai guai); ritorna – come in molte commedie di inizio Novecento – il tema della follia, in questo caso meno pirandelliano e più scarpettiano: non cioè maschera, necessario travestimento per sopravvivere all’ipocrisia sociale e salvare le apparenze, destrutturazione del vero e costruzione di mondi surreali per galleggiare su una realtà che non si comprende o che non vuole comprenderci ma, piuttosto, via di fuga, espediente creativo per rovesciare la verità e ottenere una salvezza non sociale, non morale ma concreta, per salvare la pelle, artificio comico per eccellenza. Prende così vita una farsa in cui si ride, tantissimo (menzione specialissima alla scena di metateatro in cui la disastrata compagnia di attori prova disastrosamente La mala nova di Libero Bovio, in cui è impossibile non cogliere anche dell’ironia di Eduardo nei confronti di certa classe intellettuale della sua epoca), in cui ogni gesto o intonazione della voce, ogni battuta è ricerca della risata. Fa effetto pensare che Uomo e galantuomo, un testo di più di un secolo fa, ha conservato una vitalità e una verve che la rende ancora così efficace: merito sicuramente degli attori, della maestria indiscutibile di Geppy Gleijeses, delle esilaranti caratterizzazioni degli attori in scena; merito, ovvio, di Eduardo De Filippo, un monumento del teatro novecentesco che ha narrato l’umanità, le umanità, in un modo che è leggenda. Che è immortale.
Francesca Taurisano
(Foto di Maurizio De Virgiliis dalla pagina Facebook della Fondazione Nuovo Teatro Verdi)