Monito percepito come simpatico e accattivante per i giovani lettori, il Gianburrasca dei racconti per ragazzi si relazionava costantemente con la punizione ed il luogo ove essa è legge: il collegio. Una specie di metafora del carcere, luogo dove si finisce da grandi violando il codice penale, che serviva a indurre i bambini a comportarsi bene per non finire in collegio nell’immediato e in carcere una volta divenuti adulti. L’idea veicolata era semplice: i bambini che non si comportano bene crescono delinquenti e vengono puniti, quindi meglio seguire le regole.
La società della vergogna, invece, è molto meno diffusa qui da noi e trova la sua dimora per eccellenza nella società giapponese. Là dove discostarsi dal modello sociale, violare i princìpi, genera un insopportabile senso di vergogna di sé e induce disgusto in chi non solo è leso, ma ha anche solo semplicemente assistito a una violazione. Fare harakiri, nota pratica giapponese, è un esempio efficace delle conseguenze di una società così regolata. Hikikomori, anch’esso termine giapponese, è invece la parola che esemplifica meglio il modello di società in cui viviamo oggi in Italia; ove, soprattutto e quasi esclusivamente fra i giovani, si sta assistendo a una contaminazione tra la cultura della colpa e quella della vergogna.
Hikikomori, parola giapponese, definisce infatti un profondo disagio che porta soggetti adolescenti a isolarsi dal mondo, chiudendosi nella propria stanza per vivere una vita virtuale. Una condizione di auto-privazione legata al senso di vergogna che può suscitare anche il semplice atto di mostrarsi e che cela, di fatto, un continuo e mai domo senso di inadeguatezza.
Questo fenomeno si sta oggi allargando a macchia d’olio in Italia, e non solo.
L’età adolescenziale è segnata dalla ribellione nei confronti delle istituzioni e dei genitori, in una continua ridiscussione delle regole secondo cui vivere. E ciò dipende dal fatto che iniziando a trascorrere molto tempo senza i genitori e in generale senza adulti è normale apprendere nuovi modelli di comportamento e poi ricollocarli rispetto a quanto appreso da genitori ed istituzioni.
Ora, se pensiamo che i nostri ragazzi sono stati, dati OCSE alla mano, coloro che nell’Unione Europea, e in gran parte del mondo occidentale, hanno trascorso il maggior numero di ore in DAD, possiamo facilmente intuire la dimensione del problema educativo che l’assenza di confronto sociale può avere indotto in loro.
Ebbene, da supplente di diritto negli istituti professionali, insegno nelle scuole non paritarie, quelle che fino al 2019 vedevo frequentate soprattutto da ragazzi con disturbi dell’apprendimento insieme a una consistente fazione di ragazzi con difficoltà nel rispetto delle regole. Oggi la gran parte, invece, è afflitta da problemi di ansia. Per questi ragazzi il contesto scolastico è oggi intollerabile: la prestazione che li angoscia non è solo scolastica peraltro, ma è una prestazione sociale, ed è quella che li angoscia maggiormente. I ragazzi di oggi hanno paura della società e di confrontarsi con essa. In soli due anni, le difficoltà che spingevano i ragazzi dalle scuole pubbliche o private paritarie a quelle non paritarie, non risiede, improvvisamente, nell’indisciplina o nella scarsa preparazione, ma nell’angoscia di vivere. Prima lo capiremo, prima potremo aiutare loro e il nostro futuro.
Francesco Caroli