C’è una verità in cui credo fermamente e che piccole briciole di gioia mi riserva: è la libertà di pensiero, la libertà di espressione e, quindi, di comunicazione che difendo con tutte le mie forze.
Purtroppo però, oggi che i tempi sono tanto cambiati, a mio modesto pensiero molto degradati, ed i valori sono tutti in crisi, della gioia dobbiamo purtroppo sentir dire come fosse una chimera e chi racconta che una volta l’ha provata, passa solo per un illuso.
Mi è apparso utile e doveroso fare tale cappelletto in quanto la mia connaturata esigenza di esprimere verbalmente e/o per iscritto libertà morali, civili e soprattutto politiche, pur “gioiosamente” appagandomi, mi ha portato a subire incredibili atteggiamenti di avversione, determinati in maniera inequivocabile dalla pochezza intellettiva ed intellettuale di coloro che mal digeriscono ingerenze ed intromissioni considerate “avulse”, contrarie al proprio modus operandi.
Questo, purtroppo, è il malvezzo che si perpetua invariato nel contesto sociale brindisino, con particolare riferimento a quello politico/amministrativo. In effetti, molti di coloro che detengono la gestione della nostra cosa pubblica si sentono al di sopra di tutto e di tutti, pronti a infierire per imporre la propria visione del mondo che naturalmente è la migliore e la più pura delle altre, non considerando la necessità, invece, di creare alleanze basate sulla fiducia, di stringersi attorno a progetti comuni con l’intento di fare il bene della collettività.
In un articolo a firma di Luigi Lochi, pubblicato tempo addietro sul “Quotidiano di Puglia”, da me totalmente condiviso , veniva fatta rilevare l’importanza di praticare una “politica educata”, “capace di costruire soluzioni ai problemi della comunità con spirito “laico”, tenendo lontano i pregiudizi che l’ideologia produce; capace di mettersi in ascolto della società facendo i conti con la realtà così come essa è e non come si vorrebbe che fosse; capace di governare le dinamiche dei vari interessi in gioco con gli strumenti della mediazione e dell’equilibrio; capace di servirsi del buon senso, senza assecondare il senso comune che alimenta i vari populismi e sovranismi”. Insomma una “politica educata” per lo stile improntato all’ascolto e al dialogo, la cui progettazione non può prescindere dalla competenza e dalla formazione.
Tale sistema politologico, che Aldo Moro chiamava “l’intelligenza degli avvenimenti”, dovrebbe essere, quindi, il “mantra” nell’incedere della ordinaria gestione della cosa pubblica brindisina, che non può essere elitario, di salotto, ma popolare e soprattutto capace di “incarnare lo spirito della memoria delle nostre storiche radici”.
Lo strabismo che ha caratterizzato e continua a caratterizzare l’azione politico/amministrativa ed imprenditoriale del nostro territorio, responsabile dell’incapacità di potersi guardare allo specchio e riconoscere le proprie responsabilità dei fallimenti di un sistema produttivo assolutamente poco lungimirante, in quanto determinato da una condotta che ha guardato solo agli immediati, rilevanti guadagni rivenienti da condizioni estremamente favorevoli, ma assolutamente poco aperti ad una visione capace di garantire una crescita diffusa a lungo termine, deve cedere il passo ad una non più rinviabile, decisa rivoluzione culturale, capace di segnare il passaggio da una posizione di dipendenza a quella di responsabilità.
Discorsi, questi, ostici per la solita “politica politicante” che, sorda a critiche, censure, requisitorie, rimane avvezza, invece, a finalizzare le azioni intraprese quasi sempre per il conseguimento della propria sopravvivenza, per la conquista del consenso. Che si ottiene sparando sempre più in alto: più la promessa è alta, roboante, fascinosa, più sono alte le possibilità (?) di rafforzare il proprio esercito.
Brindisi, e questo è innegabile, è con l’acqua, e non solo l’acqua, alla gola e i piedi nella mota dell’immobilismo e nel trogolo della demagogia. Demagogia che sempre più a fatica cerca di giustificare gli inquilini del palazzo.
L’improvvisazione, l’incapacità a costruire una programmazione di lungo periodo, l’approccio ora terroristico ora superficiale alle questioni ambientali sono i comportamenti nemici dei processi di sviluppo, ed a Brindisi questa è stata ed è la cultura dominante fra le classi dirigenti.
I brindisini in questo momento hanno un inderogabile bisogno di punti di orientamento numerosi e certi. Necessitano di una prospettiva entro cui muoversi, per non rimanere costretti ad appiattirsi sull’adesso, a vivere insomma alla giornata. Oggi aleggia una pericolosa esperienza di vuoto che sembra risucchiare le energie e le intelligenze di tutti come in un buco nero. Un orizzonte piatto entro il quale tutti sembra navighino a vista, comunque stranamente orientati a percorrere la strada della polemica piuttosto che del confronto delle idee.
Detto questo, immaginare ora di vedere fra non molto, a non più di duecento metri di distanza in linea d’aria di fronte alla maestosa scalinata virgiliana, sormontata dalle colonne terminali della via Appia, meraviglioso scenario scelto per l’evento musicale tenutosi pochi giorni addietro e titolato “muSEAc – Musica Vista Mare, Porto Rubino”, che, come noto, celebra il mare e l’accoglienza, la costruzione di capannoni industriali da utilizzarsi per la costruzione, assemblaggio e trasporto delle pale eoliche della start up scozzese ACT Blade, non solo lascia a dir poco sconcertati, ma dimostra, caso mai ce ne fosse ancora bisogno, che non si è ancora capito, o forse non si vuole capire, quale dovrà essere il nostro futuro, quello di Brindisi.
Luigi Einaudi, primo Governatore della Banca d’Italia nel Paese liberato adottò il motto “conoscere per deliberare”. Con una minima variazione potrebbe diventare il motto per le prossime elezioni amministrative: “conoscere per votare” da cittadini liberi e consapevoli.
Francesco D’Aprile, cittadino di Brindisi