Le tolgono il chiosco perché il marito anziano e malato era mafioso e frequenta ambigui figuri. Il Tar annulla l’interdittiva della Prefettura
CAROVIGNO – Una donna incensurata si è vista revocare le autorizzazioni per il suo chioschetto su suolo carovignese perché attinta da interdittiva antimafia. Il motivo? Il suo coniuge, in età avanzata e invalido al 75%, dopo essere stato condannato nei primi anni del duemila per reati di stampo mafioso, è stato visto di recente in compagnia, proprio davanti al chiosco, di due soggetti ritenuti evidentemente sospetti dalle forze dell’ordine. Ciò, assieme al coinvolgimento in una truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, secondo la prefettura integrava i criteri preventivi che fanno scattare l’interdittiva antimafia. Il Tar, però, a seguito di ricorso, ha dato ragione alla concessionaria del chiosco, in quanto non è stata provata alcuna «sussistenza di tentativi di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionarne le scelte e gli indirizzi di impresa». Il collegio giudicante, infatti, oltre a sottolineare che «l’attività economica svolta dalla ricorrente produce un limitato volume di affari e, come tale, non sembra esposta a particolari rischi di infiltrazione mafiosa che normalmente riguardano attività più lucrose o che, comunque, consentano, per i loro flussi di cassa, un più agevole riciclaggio di denaro», scagiona anche l’uomo dal “pregiudizio” che possa essere ancora oggi contiguo al mondo della criminalità organizzata. A certificarlo, una relazione dell’ufficio esecuzione penale esterna, che svolge un ruolo fondamentale nel reinserimento sociale di chi ha subito condanne. Il Tar evidenzia come l’ufficio abbia attestato che «certamente l’attuale stile di vita dell’uomo ormai da alcuni anni è lontano da contesti delinquenziali» e che «le locali forze dell’ordine, relativamente all’attuale condotta serbata dal soggetto, non hanno espresso note negative e hanno precisato che egli non si accompagna a soggetti censurati». Pertanto, sostiene il Tar, la circostanza (peraltro non menzionata nel corpo dell’Informativa interdittiva antimafia impugnata) che all’atto di un controllo amministrativo operato da personale della Questura di Brindisi nel luglio 2020, l’uomo fosse seduto presso l’attività economica intestata alla moglie intento a conversare al tavolo con due soggetti residenti in Lombardia, di cui uno soltanto pregiudicato per reati, comunque, non catalogabili come di stampo mafioso, «non sembra, allo stato, in grado di confermare l’attualità di un pericolo di infiltrazione mafiosa atteso che i due residenti in Lombardia non risultano collegati con il tessuto della criminalità organizzata locale brindisina».
Insomma, per il Tar «la Prefettura di Brindisi, pur avendo condotto il procedimento con una certa diligenza, ha però dato rilievo, nell’adozione dell’impugnata informazione interdittiva antimafia, a fatti obiettivamente risalenti nel tempo, non direttamente riferibili alla persona della destinataria odierna ricorrente e che, complessivamente e unitariamente valutati, non sono in grado di rivelare un pericolo concreto ed attuale di infiltrazione e condizionamento mafioso nella Impresa individuale». Una vicenda che conferma quanto sia labile il confine tra prevenzione e pregiudizio nelle complesse valutazioni prognostiche alle quali sono chiamate le prefetture, al centro di polemiche soprattutto quando sono chiamate a sciogliere i Consigli comunali.