Sul porto si dividono le acque: non c’è un modello giusto e uno sbagliato, c’è però un diritto alla chiarezza
BRINDISI – Inutile prenderci in giro: nel mondo circostante c’è una concezione di sviluppo agli antipodi rispetto a quella che si respira qui. A Durazzo uno sceicco investe 2,5 miliardi per fare di Durazzo il porto più cool del Mediterraneo, a Brindisi invece c’è una visione fortemente ideologica secondo la quale – affermazioni e provvedimenti dei protagonisti alla mano – gli sceicchi sono da evitare come la peste perché i loro soldi umiliano la popolazione autoctona, nelle aree portuali si possono solo realizzare interventi di recupero paesistico-ambientale (no Edison, no nuove banchine, sì melonate a Sant’Apollinare e birdwatching a Fiume Grande in due aree tra le più industrializzate d’Europa). Può apparire una descrizione iperbolica e invece è una rassegna stampa delle posizioni ufficiali assunte da enti e strati di società civile e politica locale.
Nel frattempo a Bari si continuano a inaugurare opere su opere, a Taranto – in aggiunta agli storici traffici legati a container e industria – si aggrediscono i segmenti di mercato che interessano Brindisi (crociere e ro-ro, e menomale che non si è andati con Taranto!).
C’è un enorme spartiacque storico, e non vederlo o fare finta di non vederlo è semplicemente riprovevole.
Probabilmente non esiste un modello giusto e uno sbagliato, ma esiste un diritto dei cittadini alla chiarezza. E il PD, ambiguo per eccellenza, è quello che ne sta uscendo peggio di tutti.
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