Ma alla fine che cos’è che conta davvero? Partecipare, vincere o solo fare spettacolo? La vicenda del ritiro di Naomi Osaka dal Roland Garros è importante perché ci induce a riflettere sul senso di quello che facciamo e sul perché lo stiamo facendo. Il fatto è questo: Noemi Osaka è fuori da uno dei più prestigiosi tornei di tennis al mondo. La sua colpa? Aver disertato le conferenze stampe previste durante la competizione, da cui sono poi iniziate le polemiche, le multe e le minacce di squalifica. Come se un atleta, in fin dei conti, non fosse molto diverso da un gladiatore dell’antico impero romano. Null’altro che uno strumento d’intrattenimento per la folla, mentre lo sport, quello vero, resta di fatto sollo sfondo, trasmesso qua è la tra uno spot e un commento da bordo campo. Ma non è solo questo a generare indignazione, ma un altro fatto ben più grave. Come specifica Noemi, infatti, “non sono una che parla facilmente in pubblico, ho attacchi di ansia prima di parlare con i media”. È in quella parola ansia, una malattia che oggi colpisce sempre più persone e che nonostante ciò, finisce troppo spesso per essere ancora ridicolizzata, ridotta ad icona per passare oltre, senza prendere in considerazione i suoi effetti sul corpo e sulle prestazioni di un atleta professionista e sulla vita di chiunque ne soffra. D’altro canto, sempre più spesso si assiste a una spettacolarizzazione di quella parte di telecronaca pre e post partita, nella quale i cronisti cercano di intrattenere il pubblico riprendendo spezzoni d’intervista degli atleti e ricamando su fatti, presunti o reali che siano, senza curarsi troppo del peso delle loro parole. Eppure la penna trafigge più di una spada ed è così insidiosa da incidere persino sulle prestazioni di un atleta professionista come Naomi Osaka, numero 2 al mondo. La stampa sembra essere rimasta a Cartesio, quando vigeva una separazione netta tra mente e corpo, ma oggi le neuroscienze, così come l’Oms, ci dicono che la salute di un individuo non può essere vincolata alla sola sfera fisica, poiché la mente è altrettanto, se non più importante. Ma nonostante questo, il mantra resta lo stesso: the show must go on, e quindi della salute mentale di un atleta, della sua emotività, importa giusto a chi si occupa di cronaca rosa, mentre per i telecronisti sportivi quello che conta è la spettacolarizzazione e lo show da polemica. Se la numero 2 al mondo di tennis si ritira da una competizione internazionale a perderci è lo sport e chi lo ama, ma questo sembra non importare neppure a chi quella manifestazione sportiva l’ha organizzata, tanto da multare e minacciare Noemi. È questo il concetto di sport e di salute che vogliamo promulgare oggi? E quante volte a ciascuno di noi è capitata la stessa cosa? Magari sul luogo di lavoro, in famiglia, o tra gli amici, ma il meccanismo è sempre lo stesso: il dover dimostrarsi sempre forti, invincibili, il non essere liberi di mostrare la propria fragilità, che come si evince dal caso di Noemi non è sinonimo di debolezza o fallimento, ma semplicemente specchio della propria unicità. Purtroppo a oggi, essere schiavi delle apparenze e poco della sostanza è ormai uno dei mali del nostro tempo più diffusi. In fin dei conti Noemi è stata multata per non aver aderito a un sistema di facciata che nulla a che vedere col suo vero lavoro, ovvero quello di giocare a tennis. E per di più, quell’ansia indotta da tutto questo corollario mediatico inficiava proprio il suo gioco. In queste ore poi, si è letto di tutto, ma quello che mi ha colpito di più è questa frase: “hai avuto il tempo per scrivere su Instagram che stai male, vuol dire che non stai male sul serio, ecc”. Che è come dire che la salute mentale non è altro che una scusa, un modo per attirare l’attenzione altrove e non un reale problema. Riemerge poi, anche nel 2021, l’idea che chi soffre di malattie della psiche sia un reietto affetto da uno stigma sociale troppo a lungo immutato: ‘se hai problemi di salute mentale allora sei pazzo’.
Lavorare per migliorare il benessere fisico, mentale e sociale delle persone è un obiettivo che dobbiamo porci se vogliamo davvero tornare a migliorare la qualità della nostra vita. E’ evidente che il modello che proponeva il benessere economico come unico obiettivo da perseguire per l’intera società non è più sufficiente né, soprattutto, sostenibile. In compenso i media sportivi hanno ottenuto materiale in abbondanza per scrivere di come hanno rovinato il mondo che cercano di raccontare.
Francesco Caroli