Ne usciremo migliori o peggiori? Era questo il dilemma che per mesi ha imperversato nei talk show italiani. E dopo un anno di pandemia, tra coprifuoco, sostegni, vaccini e pass, è possibile dire che effettivamente quest’ambivalenza non sia ancora del tutto sciolta. Da una parte, infatti, c’è stato un ritorno all’individuo, al si salvi chi può, mentre dall’altra parte c’è stato un rinnovato spirito di unità sovranazionale, simbolo di speranza per il futuro che verrà.
Un esempio di questa rinnovata speranza nel futuro? Il Global Health Summit che il 21 maggio si terrà a Roma, co-presieduto dall’Italia e dalla commissione europea ed il cui obiettivo è quello di rivedere la distribuzione delle forniture sanitarie a livello globale, riformare l’OMS e occuparsi del trasferimento di tecnologie, nonché del tema della rinuncia ai brevetti su beni d’importanza vitale, come ad esempio i vaccini. Si tratta quindi di un’iniziativa importante, poiché riporta al centro del dibattito mondiale lo spirito del multilateralismo, ovvero l’idea che alcune sfide, come quella del cambiamento climatico e della salute, debbano per forza essere affrontate da tutti e con una strategia comune; altrimenti si assisterà sempre più all’emergere di quel fiume carsico, capeggiato da un nazionalismo urlato, che prima o poi condurrà alla frammentazione di ciò che una volta era una cosa sola, ovvero la società così come la conosciamo oggi.
Per tutte queste ragioni il Global Healt Summit rappresenta il primo di una lunga serie di appuntamenti che hanno come obiettivo quello di gestire le sfide del secolo: quell’insieme di problemi e temi che si intrecciano tra di loro e che domandano una strategia di risoluzione ampia. D’altro canto salute, ambiente, economia e welfare rappresentano tematiche indissolubilmente legate tra di loro e per questo debbono essere gestite da una politica comune. La stessa von der Leyen ha rammentato a tutti come “la pandemia ci ha mostrato che la salute è un bene pubblico e servono le idee di tutti” e Draghi ha sottolineato come questo Summit globale “offra l’opportunità di condividere gli insegnamenti tratti durante la pandemia di COVID-19. Discuteremo delle modalità per migliorare la sicurezza sanitaria, rafforzare i sistemi sanitari e potenziare la nostra capacità di affrontare in futuro le crisi in uno spirito di solidarietà”.
Solidarietà, salute come bene pubblico e condivisione saranno sì le direttrici di questo Summit, ma anche la bussola per tutte quelle amministrazioni locali che abbiano a cura dei propri cittadini e il loro benessere. A Milano, ad esempio, l’obiettivo è quello di tornare a una medicina territoriale che vada nelle case dei milanesi, aiutando chi ne ha più bisogno, e soprattutto, prevenendo l’insorgere di malattie gravi. In questo modo si assisteranno le fasce più deboli della cittadinanza, ovvero quelle che anche in quest’anno di pandemia hanno sofferto di più. D’altro canto la società è sì composta certamente da individui, ma essa si sgretola se a salvarsi sono solo pochi fortunati mentre a soffrire sono la gran parte dei restanti. Ed è qui che la “dichiarazione di Roma”, ovvero il documento che verrà approvato a conclusione del Summit, rappresenterà quindi il manifesto più forte per tutti coloro che desiderano salvaguardare il concetto di comunità, partendo da ciò che per essa è più sacro: la salute. In questo modo, dopo una stagione di divisioni e conflitti, la speranza è quella di riportare alla ribalta la parte migliore di ognuno di noi e l’idea che l’unione sia l’unico modo efficace per rispondere ai problemi del nostro tempo e delle nostre città.
Francesco Caroli