Il monologo di Pio e Amedeo: l’ignoranza sale in cattedra
Proprio mentre la Commissione del Senato ha calendarizzato il disegno di legge Zan (contro discriminazioni e violenze per orientamento sessuale, genere, identità di genere e abilismo), Pio e Amedeo nella trasmissione “felicissima sera” hanno ben pensato di rievocare parole come “ricchione” e “frocio”, o di riabilitare la parola “negro”. Il tutto accompagnato dall’auspicio che “negro faccia la fine di terrone”. Come se la questione meridionale non rappresenti tutt’oggi un problema economico e sociale.
Quello delle discriminazioni è da sempre un tema complesso e non di facile risoluzione, per questo è necessaria una piena consapevolezza nella trattazione di un argomento così importante. La superficialità con la quale i due comici hanno affrontato il tema delle discriminazioni è disarmante. Un monologo intriso di approssimazione misto ad ignoranza, nel senso di non conoscenza delle oppressioni di cui è piena la storia, anche recente, e delle lotte che ancora oggi si combattano per la piena emancipazione di tutti.
Affermare che “non è l’uso della parola il problema ma l’intenzione”, significa non comprendere il peso della parola e come questa sia stata un potente strumento di condizionamento. Freud sosteneva che “le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente”. È proprio ciò che è avvenuto nella storia contemporanea, dove l’uso della parola come strumento di propaganda, ha portato al più grande genocidio di massa della storia. Ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, in gran parte del pianeta, scontiamo gli effetti di quella propaganda, di quelle parole.
Bisogna perciò stare molto attenti a ciò che diciamo e non come lo diciamo, perché non esiste accezione positiva di “negro”, “frocio” o “ricchione”. Sono epiteti intollerabili senza se e senza ma!
Sia chiaro, non è questione di classismo: è giusto, e talvolta necessario, che non siano solo gli intellettuali e/o i politici a trattare certi argomenti, ma è fondamentale avere piena coscienza del fenomeno sul quale ci si vuole esprimere.
In America gli omicidi degli afroamericani da parte della polizia è all’ordine del giorno ed uno dei ruoli più importante nella lotta contro la discriminazione, non lo ha avuto la politica ma l’NBA: partite sospese, interventi pubblici, manifestazioni e raccolta fondi.
Uno degli interventi più significativi è stato di Kylie Korver, un cestista “bianco” che in seguito a degli episodi di discriminazione ha definitivo il problema della razza come “semplicemente esistere oggi per una persona di colore in uno spazio prevalente bianco. Posso essere amico di Thabo o collega di Russ, ma io sembro sempre l’altro ragazzo e posso essere in questa conversazione dalla prospettiva privilegiata di chi può farne parte. Ciò significa che posso facilmente non farne parte più. Ogni giorno mi viene data questa scelta, e mi è garantito questo privilegio solo sulla base del colore della mia pelle”.
Ciò a riprova che anche un semplice giocatore di basket (o magari un comico) può esprimere attraverso le parole, concetti che derivano da una profonda analisi del fenomeno.
Nel 2014, il Presidente dei Los Angeles Clippers Donald Sterling, dopo delle frasi razziste nei confronti degli atleti di colore, è stato radiato dall’Nba. Magari, seguendo il ragionamento dei due comici, non aveva cattive intenzioni, ma il problema è talmente attuale e radicato in America che certe parole sono inconcepibili, specie quando provengono da un soggetto di una certa influenza.
Si spera, in conclusione, pur nella convinzione che certi ragionamenti siano dettati esclusivamente dall’ignoranza (e non è una giustificazione), che dopo le doverose scuse, l’epilogo sia analogo: la chiusura del programma.
Perché come diceva Alda Merini “adoro le persone che sanno scegliere con cura le parole da non dire”.
Luigi Epifani