L’imputtanamento di un Paese in-credibile
BRINDISI – Il codice di procedura penale, prima del dibattimento, tutela in ogni modo un bene giuridico molto peculiare, ovvero la serenità di giudizio dei Magistrati. Per questo viene limitato fortemente – se non annullato – il diritto di cronaca dei giornalisti, che anche dopo l’avviso di conclusione delle indagini, la notifica del rinvio a giudizio e la consegna del fascicolo del PM alle parti, non possono pubblicarne il contenuto fino all’udienza preliminare o anche fino alla pronuncia della sentenza in grado d’appello. La ratio, come detto, è quella di creare un clima ovattato attorno ai magistrati, che non devono essere condizionati dall’opinione pubblica (a sua volta potenzialmente condizionata dalla stampa).
L’art. 114 cpp, al comma 2, statuisce infatti che “È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Al comma 3 si rincara la dose: “Se si procede al dibattimento (quindi se non si dispone il non luogo a procedere, ndr), non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello”.
Misure fortemente lesive del diritto di cronaca, soprattutto perché nell’udienza preliminare si può ricavare un’udienza di stralcio con la quale viene disposta la sfrondatura del fascicolo del Pm di quelle parti ritenute non interessanti ai fini del dibattimento. Ma quelle parti stralciate e fatte sparire, però, non è detto che non siano di interesse pubblico.
Tutto questo per dire cosa? Semplicemente per constatare che, quanto rappresentato innanzi, assume i contorni della farsa e una forma per mettere il silenziatore alla stampa, dato che impunemente Beppe Grillo può sobillare l’opinione pubblica contro la magistratura e autoassolvere il figlio, Salvini può accennare che dal suo avvocato (ovvero la senatrice leghista Bongiorno, legale della presunta vittima) ha saputo come stanno le cose sulla vicenda e la sottosegretaria Macina può adombrare il sospetto che siano intervenute violazioni del segreto istruttorio per fini politici.
E anche stringendo il campo su Brindisi, stiamo assistendo in questi giorni – prima ancora che venga deciso il rinvio a giudizio o l’archiviazione per il sindaco Rossi – a difese d’ufficio da parte di esponenti politici che preconizzano incongruenze fattuali tra il racconto del dirigente Simeone e l’impianto accusatorio.
Davanti a tutto questo, possiamo ritenerci un Paese credibile?