L’avvento sulla scena di Draghi sta provocando un vero e proprio terremoto all’interno dello scenario politico. La tendenza generale è quella di uniformare il Parlamento italiano a quello europeo, ma siamo certi che sia questo il modello da seguire?
Con il nuovo Presidente del Consiglio, infatti, sono cambiati i ministri, il commissario straordinario all’emergenza e i membri del Cts, nonché la maggioranza a sostegno dell’esecutivo e addirittura le idee all’interno dei partiti: una su tutte, quella relativa alla posizione da tenere nei confronti dell’Europa e della Commissione presieduta dalla Von der Leyen. Di fatto, e mai come oggi, la maggioranza parlamentare nostrana ricorda, per forma e assembramento, quella europea. Una convergenza sull’europeismo che accomuna tanto la lega, quanto i 5S, i quali, solo pochi anni fa, teorizzavano l’esatto contrario. Cosi in maniera, più o meno esplicita, sì è resa evidente la volontà di ogni partito di trovare un posto al sole o quanto meno un luogo d’aggregazione sicuro all’interno del Parlamento europeo.
È dalla caduta del Conte bis, infatti, che i vari capi partito calcano le vie di Bruxelles domandandosi: ma è meglio stare coi Verdi o coi Socialisti? Mi si nota di più se entro nel PPE, oppure se mi alleo coi riottosi di estrema destra? Domande come queste chiedono una risposta tanto a Salvini, quanto a Di Maio, ma per entrambi lo scenario appare ancora tutt’altro che certo. Per il primo, infatti, i problemi sono iniziati quando i 5Stelle hanno votato la fiducia alla Von der Leyen, lasciandolo col cerino del ritorno alla Lira in mano. I 5Stelle, invece, hanno ormai compiuto un giro a “370°”, Lezzi docet, dicendo tutto e il suo contrario, e pur di uscire dal gruppo misto europeo si sono ridotti a bussare prima ai Verdi europei, poi ai Socialisti. Proprio quest’ultima scommessa politica, oggi avvallata dalla parte diassina del partito democratico, ha forse causato la crisi di rigetto della parte riformista del partito del Nazareno, che ha prima respinto questo scenario e poi ha fatto capire al segretario dem Zingaretti di aver davvero passato il segno, costringendolo a rassegnare le dimissioni prima di una probabile sfiducia. È quel che si dice, una classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Ma al di là delle mosse di Salvini, Di Maio e di Conte, ha davvero senso provare a correggere i difetti del Parlamento italiano ispirandosi a quello europeo?
A giudicare dalla risposta europea alla pandemia e ai vaccini, no. D’altro canto, l’immobilismo frutto dell’innaturale alleanza europea tra i popolari e socialisti, già alla seconda legislatura, non ha fatto altro che produrre risposte timide e spesso capovolte dal Consiglio dell’Unione e dalla Commissione stessa. A questa inefficienza dell’azione di Governo, è inoltre opportuno aggiungere come un’alleanza tra destra e sinistra rappresenti un’anomalia che spinge il dissenso, come l’aria nelle vele, della coalizione dei populisti e dei sovranisti di ogni Stato europeo. Il sogno di alleanza strutturale tra socialisti e popolari, quindi tra “persone di buon senso” e i “buoni”, contro populisti e sovranisti, insomma i cattivi, pone di fatto il rischio di una possibile debacle alla conta elettorale. Cosa succederebbe, infatti, se, democraticamente, i cattivi si scoprissero numericamente più dei buoni? Non è meglio dividere buoni e cattivi in egual misura negli schieramenti di destra e sinistra?
I Paesi anglosassoni, culla della democrazia moderna e della competizione costruttiva, hanno accettato il rischio di Governi “pericolosi” legittimati democraticamente e politicamente, forti e ben consapevoli del valore dell’alternanza democratica che, pressoché da sempre, contraddistingue il bipolarismo. D’altro canto, quando le Istituzioni sono disegnate per essere forti (e in Italia c’è molto da lavorare in tal senso), possono certamente attribuire il potere a presidenti come Trump, ma è altrettanto vero che a seguito di questi ci saranno poi i Biden e le Kamala Harris, così come a Bush è subentrato Obama. Nel Regno Unito oggi c’è Johnson, ma domani potrebbe esserci un nuovo Blair e via discorrendo. Ed è proprio quest’alternanza, che contraddistingue il bipolarismo anglosassone, a consentire di ottenere almeno due grandi vantaggi.
Il primo è quello di determinare una leadership dalle responsabilità ben definite, tali per cui è difficile giungere alla fine del mandato a dare la colpa al governo precedente; e già questo ha un suo peso politico importante, soprattutto per l’elettorato. Quest’ultimo, infatti, sceglie e sa che chi governa ha un mandato univoco e i poteri per perseguirlo e può quindi decidere se affidargli nuovamente la fiducia, oppure votare l’esatto contrario.
In secondo luogo, il bipolarismo rende chiaro il campo elettorale semplificando il quadro politico su cui i cittadini devono esporre la propria preferenza. Una semplicità e un’immediatezza che è ormai presente nelle istituzioni a livello regionale e comunale, ma che è ancor più presente nella società. Una società veloce, dove si decide tutto in 3 secondi: dallo smartphone, alla richiesta, pur sempre legittima, del singolo elettore di poter decidere attraverso il voto l’esisto di una competizione democratica. Un meccanismo del tutto opposto rispetto al sistema proporzionale europeo ora vigente e che proprio per questo viene oggi percepito dai cittadini come distante. La consapevolezza di non incidere sull’esito della competizione tra chi “decide”, solo parzialmente mitigato dalla sacrosanta presenza del voto di preferenza, rende le Istituzioni europee lontane. Cosi come sta avvedendo in Italia da quando si è superato il voto Berlusconi Si/No. E’ questo che vogliamo anche per il futuro?
Insomma, spinta dello scontento popolare a favore degli estremisti, cattiva capacità di esercitare l’arte di Governo, distacco dei cittadini dalle Istituzioni; se davvero decidiamo di copiare il nostro sistema politico siamo proprio certi di volerci ispirare al modello europeo? Perché pensandoci bene, magari è invece meglio ripartire dalle basi, dal far decidere ai cittadini chi governa e non solo in Italia, ma anche in Europa. Altro che copiare, forse è più opportuno convincerli a cambiare insieme a noi. Il sistema di elezione dei nostri Sindaci funziona ed è già pronto, perché non fare fotocopie per tutti?
Francesco Caroli