Vivere di sudore e dignità o condurre una vita invidiabile agli occhi di tutti sfruttando lo stato di bisogno degli altri?
BRINDISI – E’ notizia di pochi giorni fa l’arresto di Diego Fimmanò, 47 anni, e di Luigi Patisso, 35 anni, per le reiterate e pervicaci condotte di estorsione e turbativa d’asta in occasione della vendita all’incanto di numerosi immobili a Brindisi.
Non ci soffermiamo sui trascorsi criminali di Fimmanò, sui rapporti da lui intrattenuti con la mafia locale e sulla stretta collaborazione di Patisso, suo fidato braccio destro. Entrambi si macchiano di due illeciti penali, previsti rispettivamente agli artt. 629 e 353 del codice penale, volti a colpire il patrimonio della vittima e il regolare andamento di un’asta giudiziaria.
Tali ordinanze di custodia cautelare in carcere si aggiungono – nell’ambito della medesima vicenda – all’arresto in flagranza avvenuto ad ottobre di Cosimo Giosa, 57 anni, e Salvatore De Giorgi, 58, colti nel momento in cui intascavano la somma di 900,00 euro (dei complessivi 7.000,00 pattuiti) da parte del proprietario di un immobile espropriato, il quale era stato costretto a versare denaro onde evitare che altri soggetti potessero acquistare il bene posto all’incanto.
Anche un quinto elemento, Raffaele Giuseppe Brandi, 64 anni, è destinatario di una ordinanza di custodia cautelare in carcere; mentre un sesto, Pasquale Marangio, 59 anni, è soggetto all’obbligo di firma sempre per i medesimi reati.
Da giurista non voglio tediarvi sull’approfondita analisi delle due fattispecie penali integrate e sulle implicazioni socio-economiche che ne possono scaturire, ma preferisco soffermarmi sul contesto nel quale tali disdicevoli condotte si realizzavano. Accadeva infatti che i beni fossero acquistati a “prezzo vile” da tali gentiluomini e rivenduti allo stesso (ex) proprietario a cifre maggiorate, perché occorreva naturalmente trarre un profitto dalle summenzionate nobili attività di intervento. Non bastava quindi estorcere a costui la somma di denaro per allontanare altri potenziali acquirenti dall’incanto, ma erano poste in essere ulteriori condotte che rimpinguassero il portafoglio di questi signori.
C’è anche da dire che i rapporti intercorrenti tra i rei non erano rose e fiori, un po’ come accade nelle famiglie o tra amici. Ed infatti, la voglia di non spartire il guadagno illecito e mantenere una sorta di “monopolio” nel reato generava contrasti – spesso forti – tra il duo Patisso/Fimmanò da un lato e De Giorgi/Giosa dall’altro, il primo dei quali rivendicava l’assoluta supremazia nella turbativa delle aste brindisine. Fino a quando – un po’ come gli innamorati dopo una tempesta litigiosa – essi non decidevano di riconciliarsi ed accordarsi nel senso di non calpestarsi reciprocamente nella partecipazione delle aste. Emblematici alcuni stralci delle intercettazioni: “Sentimi un attimo, a parte le chiacchiere, io mi devo muovere per quel fatto là. Basta che facciamo un discorso a testa, che se stanno due forchette, facciamo una forchetta a testa, è peccato no? Una ciascuna esce”.
I redditi di tutta questa brava gente – secondo il Gip che si occupa dell’inchiesta – non erano assolutamente compatibili con le loro attività lavorative. Pertanto, cari amici de L’Ora di Brindisi, non pensiamo che dietro ad ogni ricchezza si celi sempre onesto lavoro. Anche persone più vicine a noi, che improvvisamente edificano immobili o acquistano auto di rango, possono nascondere attività tutt’altro che limpide e lecite.
Meglio allora vivere con sacrifici e sudore della fronte, guadagnandosi il pane a fine mese, piuttosto che approfittare delle situazioni di bisogno di debitori esecutati e condurre una vita invidiabile agli occhi di tutti.
Luigi Rubino