Gli ambientalisti: “Un’altra Brindisi è possibile”
BRINDISI – Il Green new deal, la transizione energetica ed ecologica ed i programmi europei di uscita da tutti i combustibili fossili richiedono una completa rivoluzione culturale delle nostre comunità e soprattutto un nuovo modello di sviluppo.
In Italia e ancor più a Brindisi, le grandi imprese stanno cercando di mettere le mani sugli ingenti finanziamenti del Recovery Plan e del Just Transition Fund, alimentando trasformismo e gattopardismo fino al punto che si ripropongono grandi opere ammantandole di “green” con qualche intervento di maquillage.
In Italia manca una vera strategia e a Brindisi si propongono interventi ad alto impatto ambientale e climalteranti quali gli ingenti dragaggi e l’enorme colmata nel porto, il “balletto” sul sito del deposito costiero di GNL e la nuova centrale termoelettrica a turbogas che, ipocritamente, si prova a giustificare attraverso una parziale alimentazione a metano insieme all’idrogeno prodotto da un impianto fotovoltaico che dovrebbe, al contrario, essere una delle alternativa rispetto alla improponibile centrale.
C’è, perfino, qualche politico che si autodefinisce ambientalista (precisamente “ambientalista tecnologico”) e, nel difendere la riproposizione delle grandi opere, chiama fondamentalisti coloro che, da sempre, coniugano ambientalismo realmente praticato ed ambientalismo scientifico e propugnano un’altra Brindisi, sin da quando si è riusciti ad impedire l’impianto di rigassificazione.
Un nuovo modello di sviluppo deve partire dal realizzare un vero piano di caratterizzazione e bonifica del Sito di Interesse Nazionale (SIN) di Brindisi che, attraverso le bonifiche può creare ingente occupazione qualificata e la possibilità di presenza sul territorio di notevoli investimenti: è allucinante leggere nell’ultimo report del Ministero dell’ambiente che il piano di caratterizzazione e bonifica ha ancora i livelli bassissimi secondo quanto riportato nel sito ufficiale (quanto riportato in allegato).
Al piano di bonifica, richiesto sin dal 2000 in un documento congiunto di associazioni ambientaliste e sindacati, va associato un programma di riqualificazione e di vera rigenerazione, in primo luogo garantendo l’efficientamento energetico, dell’area industriale (da trasformare in Area Produttiva Paesaggisticamente ed Ecologicamente Attrezzata, come sancito dalla Regione Puglia durante la presidenza Vendola), del porto (in cui è necessario riqualificare i servizi, la logistica e lo sviluppo integrato della mobilità invece delle grandi opere previste) e della città, rispetto alla quale l’Amministrazione Comunale ha il dovere di intervenire, anche sulla spinta del super ecobonus per i privati, per accelerare un piano di rigenerazione ed efficientamento energetico dell’edilizia pubblica e privata esistente, con un’evidente spinta fornita alle imprese ed alla occupazione nel settore dell’edilizia.
Il Green New Deal ed il Just Transition Fund prevedevano l’insediamento, a tutti i livelli, di tavoli per la giusta transizione con la partecipazione delle istituzioni, delle forze sociali e dell’associazionismo, ma questi tavoli non sono ancora stati convocati e si rischia che l’occasione offerta, innanzitutto dal Recovery Plan non apra il confronto democratico, di idee ed anche di analisi critica sul modello di sviluppo che la realtà richiede.
Con la presente rivolgiamo un appello e ci facciamo portatori dell’apertura di questo confronto al quale diamo nuovamente il titolo “un’altra Brindisi è possibile”.
Un’altra Brindisi è possibile non consegnando alle grandi imprese l’agenda politico–istituzionale ed economica della città e mettendo invece al centro di essa, come in parte si sta facendo a Taranto, le risorse e le vocazioni del territorio, a cominciare da un Contratto Istituzionale di Sviluppo che preveda il piano di rigenerazione dell’area che si estende fino a Cerano indicata dalle associazioni e quello di rigenerazione della città–porto che le risorse finanziarie europee oggi consentono.
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