Proteggere i social da eversori e autocrati come Trump: è questa la vera sfida delle democrazie liberali
L’oscuramento temporaneo del profilo di Donald Trump fa discutere il mondo sul ruolo dei social. In pochi, però, si sono interrogati sulla necessità di preservare queste piattaforme private dagli assalti degli autocrati. Nei regimi, infatti, i social vengono oscurati o, quando va bene, strettamente controllati, ledendo sul serio in quel caso la libertà di espressione dei cittadini, perché di effettiva censura si può parlare quando è il pubblico a negare la libertà al privato.
Più che chiedersi se è democratico che una piattaforma privata silenzi un Presidente che diffonde fake news e aizza il popolo contro i presidi della democrazia liberale, forse bisognerebbe chiedersi prima se l’atteggiamento di Trump, che a maggio del 2020 aveva annunciato che avrebbe chiuso social come Twitter sol perché due suoi tweet erano stati segnalati come potenzialmente fuorvianti dalla piattaforma, sia accettabile in una democrazia liberale come quella americana.
E poi: si può parlare di censura quando si è in presenza di una nazione che consente a un Presidente di interagire con il popolo attraverso siti web, blog di terzi, app, social media, piattaforme di poadcast, mailing list, sistemi di messaggistica e media tradizionali? Insomma, Twitter e i social in generale hanno i connotati del servizio pubblico essenziale, che dunque abbisogna di una disciplina pubblica? In un mondo dove i social media hanno una diffusione pari al 51% e TV e radio pari a quasi il 100% e in cui le ore dedicate dalla gente ai media tradizionali sono superiori a quelle dedicate ai social, parlare di monopolio, di censura, di social come servizio pubblico essenziale e quindi da disciplinare attraverso stringenti regole pubbliche pare una forzatura.
La libertà di espressione non viene certamente lesa se un Presidente degli Stati Uniti viene sospeso da una piattaforma privata perché viola le regole di ingaggio. Perché sarebbe come dire che viene lesa la libertà di movimento di un soggetto sol perché ha utilizzato un’auto a noleggio per effettuare una rapina, violando quindi i termini contrattuali, e l’azienda ne ha disabilitato l’utilizzo del veicolo. Ecco, se quella società di noleggio di auto fosse l’unica che garantisse al soggetto la libertà di movimento si potrebbe parlare di servizio essenziale pubblico e quindi di disciplina pubblica, ma davanti a una svariata gamma di mezzi di trasporto, la storia non regge. Stesso discorso crediamo si possa fare in merito al rapporto “tutela del diritto di espressione/social”. Certo, si possono chiedere a queste piattaforme criteri e procedure più trasparenti, ma questo può avvenire tramite trattative private portate avanti, ad esempio, dalle categorie dei consumatori. E se non si gradiscono le condizioni, si può sempre abbandonare quel social e utilizzare altri servizi.
Il vero abuso, in pieno stile autocratico, è quello di un Presidente degli Stati Uniti che ha minacciato ritorsioni verso piattaforme che si basano su patti tra privati. E quello che devono fare le democrazie liberali è proteggere i privati dagli assalti di governi eversivi. È questa la vera censura da tenere d’occhio.