La festa di Capodanno diventa un caso: è opportuno sbattere il ‘mostro’ sui media rendendo riconoscibili identità e abitazione? Lo abbiamo chiesto a due penalisti
BRINDISI – Il veglione di Capodanno svoltosi nell’abitazione di proprietà di un personaggio piuttosto noto in città per la sua attività lavorativa rappresenta certamente un fatto riprovevole, oltre che una notizia di interesse pubblico e pertanto meritevole di essere riportata dai mass media.
Fatta questa premessa, ci si interroga tuttavia sulla opportunità dei media di rendere in qualche modo conoscibile l’identità del padrone di casa, e ciò fornendo dettagli sulla sua attività lavorativa (dettagli che rispettano il necessario principio di essenzialità rispetto alla notizia?) e pubblicando il video integrale girato all’interno di una proprietà privata da uno degli invitati senza oscurarne completamente i volti, tanto da renderne possibile l’identificazione del proprietario dell’appartamento e non solo.
Per orientarci in questa delicata fattispecie, che è paradigmatica di quanto i mass media fatichino a non assecondare le richieste (morbose) di lettori e spettatori, abbiamo chiesto il parere di due penalisti.
“Il diritto all’immagine – premette l’avvocato Roberto Cavalera – costituisce una forma del più ampio diritto alla riservatezza personale inteso quale diritto a tenere serbati e confidenziali aspetti e comportamenti relativi alla sfera intima della persona la cui diffusione presuppone l’autorizzazione del soggetto interessato. La pubblicazione di fotografie o di video ritraenti il volto di altre persone è disciplinata da una pluralità di fonti normative, nazionali ed europee, che ne definiscono i limiti e le conseguenti responsabilità. La materia, infatti, riguardando i diritti fondamentali ed inviolabili della persona, assume una rilevanza costituzionale che trova disciplina nella Costituzione, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed, infine, nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali il cui art. 8 precisa che ‘ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza’. Nel nostro ordinamento giuridico, già il codice civile (art. 10) appresta una tutela dalle forme di pubblicazione abusiva dell’immagine altrui che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto ricorrere non solo quando la pubblicazione avvenga senza il consenso della persona, ma anche nel caso in cui la pubblicazione sia tale da arrecare pregiudizio all’onore, alla reputazione o al decoro dell’interessato. La pubblicazione dell’immagine altrui, pertanto, è subordinata al consenso dell’interessato, limite che si rinviene anche nell’art. 96 della L. 22.04.1941, nr. 633 (c.d. Legge sul diritto d’autore), fatte salve le eccezioni previste dal successivo art. 97. Quest’ultima norma prevede che il consenso della persona ritratta non sia necessario allorché ‘la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico’. Alle fonti di diritto innanzi analizzate si aggiunge il Regolamento UE nr. 679 del 2016, recepito nell’ordinamento giuridico italiano con il D. L.gs nr. 196 del 2003, siccome modificato dal D. L.gs nr. 101 del 2018. Sinteticamente il Regolamento stabilisce che chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano ed il trattamento di questi dati deve contemperarsi con i diritti e le libertà fondamentali, tutelando la dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali. Il legislatore comunitario, nel richiamare i principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che assicurano ‘il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e delle comunicazioni, la protezione dei dati personali’, afferma che sebbene il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non sia una prerogativa assoluta, esso, tuttavia, vada ‘considerato alla luce della sua funzione sociale e contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità’. L’art. 4 del Regolamento definisce dato personale “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale’”.
Venendo più strettamente al caso in oggetto, è lecito diffondere immagini riguardanti la vita privata che si svolgono nell’abitazione altrui?
“Il nostro ordinamento giuridico – spiega l’avv. Cavalera – sanziona penalmente le condotte di interferenza illecita nella vita privata. La fattispecie incriminatrice, prevista dall’art. 615 bis c.p., punisce chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata che si svolgono nell’ altrui abitazione o privata dimora, nonché chiunque rivela o diffonde mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte della norma. La Corte di Cassazione ha precisato che non è penalmente rilevante la condotta di colui che, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva, in un’abitazione in cui sia lecitamente presente, filma scene di vita privata, in quanto l’interferenza illecita normativamente prevista è quella realizzata dal terzo estraneo al domicilio che ne violi l’intimità, mentre il disvalore penale non è ricollegato alla mera assenza del consenso da parte di chi viene ripreso. In altra pronuncia il giudice di legittimità ha chiarito che la fattispecie di reato sarebbe integrata nel caso in cui, mediante l’uso di strumenti di captazione visiva o sonora, all’interno della propria dimora, si carpiscano immagini o notizie attinenti alla vita privata di altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi o ospiti occasionali, senza esservi in alcun modo partecipe; ne consegue che l’ipotesi di reato non è configurabile allorché l’autore della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso l’atto della vita privata oggetto di captazione”.
Rispetto al ruolo dei mass media, Cavalera specifica che “la divulgazione da parte dei mass media delle immagini captate all’interno di una abitazione privata è possibile se i dati sono stati raccolti in modo lecito e corretto e la diffusione avviene nel rispetto del principio di essenzialità. La notizia, inoltre, dovrà essere di interesse pubblico, riportata in maniera corretta ed asettica, evitando il pericolo di ledere la dignità degli interessati. Occorre apprestare particolare attenzione perché non di rado la linea di confine tra ciò che risulta essenziale e di pubblico interesse e ciò che, invece, rischia di esporre al pubblico ludibrio le persone coinvolte è molto labile. In definitiva, direi che il principio di essenzialità presuppone che le immagini debbano essere necessarie ed accessorie rispetto alla notizia, con la conseguenza che l’interesse pubblico non può sempre e comunque giustificare la pubblicazione di dati personali talvolta superflui rispetto al diritto di informazione”.
Ed è qui che sorgono i dubbi sulla circostanza che risulti ‘essenziale’ ai fini della notizia diffondere sui mass media particolari della vita di persone che, stando al sopra richiamato principio di proporzionalità, subiscono come conseguenza un pubblico ludibrio forse sproporzionato e non rispondente al principio di continenza rispetto alla condotta illecita tenuta.
“Non intendo esprimere un giudizio di merito sulla vicenda che è al vaglio degli organi di polizia; tuttavia, a mio avviso – conclude Cavalera – occorre conformarsi al principio di massima precauzione, alterando adeguatamente le fattezze dei volti ed evitando il riferimento a qualsivoglia ulteriore elemento di fatto che possa, soprattutto in una piccola comunità, condurre all’identificazione degli interessati ovvero esporre soggetti del tutto estranei alla vicenda al dubbio -che potrebbe sorgere nel lettore- di un loro coinvolgimento”.
Ecco, considerando che dagli elementi forniti dai mass media è (facilmente) riconoscibile l’organizzatore della festa privata (e in alcuni casi anche i partecipanti), se ne deduce che forse il principio di massima precauzione è stato disatteso.
Ma come detto, la vicenda in questione si presta a diverse letture e sfumature. L’avvocato Marco Della Rosa, ribadendo il concetto che “il giornalista è esonerato dal generico dovere di ottenere il consenso dell’interessato” e che “tuttavia va sempre tenuto fermo il principio dell’essenzialità dell’informazione rispetto all’interesse pubblico”, aggiunge come “anche rispetto al quesito che tocca il diritto d’autore (ri-pubblicazione di foto e video diffuse su profili social), l’esimente del diritto di cronaca è prevalente”.
“A mio modesto avviso, le fattezze interne di un’abitazione privata – prosegue Della Rosa – non rientrano nella categoria dei dati sensibili poiché non consentono un’identificazione esatta del soggetto cui si riferiscono”. Ed anche “Il riferimento molto specifico all’attività lavorativa dell’organizzatore della festa privata di Capodanno, seppure non strettamente necessario ai fini della narrazione della notizia, a mio parere non può dirsi violativo del diritto alla privacy in quanto non individua in modo inequivoco un soggetto. Certo, sarebbe stato preferibile che i volti fossero stati meglio oscurati da alcuni media”.
“Sulla necessità di riportare la notizia – afferma Della Rosa – non ci piove, perché si tratta di un’ipotesi di epidemia colposa. Il discrimine sta nel concetto di dato sensibile; certamente ci troviamo in un caso di condotta al limite. Probabilmente – conclude l’avvocato Della Rosa – non era necessaria la pubblicazione del video ma, una volta pubblicato, se vengono adeguatamente oscurati i volti e non risultano dati che consentano di identificare univocamente gli interessati, può essere ritenuto non violativo della privacy”.