Home Approfondimenti L’Ora della Psicologa – Bullismo: fenomeno in costante crescita. Le indicazioni per i genitori
L’Ora della Psicologa – Bullismo: fenomeno in costante crescita. Le indicazioni per i genitori
0

L’Ora della Psicologa – Bullismo: fenomeno in costante crescita. Le indicazioni per i genitori

0

BRINDISI – Oggi, dopo alcuni messaggi ricevuti da molte mamme preoccupate per la situazione che vivono i loro figli, la rubrica “L’Ora della psicologa” si occuperà di bullismo.

Ultimamente la cronaca, sempre più spesso, riporta episodi di violenza in cui sono coinvolti bambini e ragazzi implicati in atti di prevaricazione nei confronti dei coetanei. Per identificare tali situazioni, in molteplici occasioni, viene utilizzato il termine “bullismo”. Il bullismo è un malessere sociale fortemente diffuso, sinonimo di un disagio relazionale che si manifesta soprattutto tra giovanissimi e adolescenti, ma sicuramente non circoscritto a nessuna categoria né sociale né tantomeno anagrafica. Esso può essere definito come una violazione dei diritti umani fondamentali, come quello di essere rispettati e di crescere liberi e sicuri, ed è responsabilità morale degli adulti che questi diritti siano garantiti; è una forma di comportamento aggressivo, un’oppressione, psicologica o fisica, reiterata nel tempo, perpetuata da una persona o da un gruppo di persone più potenti nei confronti di un’altra persona percepita più debole. Può essere in breve definito, dunque, come “un abuso sistematico di potere”. Attualmente circa 200 milioni di bambini e di giovani nel mondo sono abusati dai loro compagni e sembra che oggi questo fenomeno di prevaricazione e disagio tocchi fino a un bambino su tre. Il problema riguarda in particolare bambini e adolescenti nelle fasce di età comprese tra i 7-8 anni e i 14-16 anni, ossia scuole elementari e gli anni a cavallo tra le scuole medie inferiori e superiori.

Esistono due modalità di attacco attraverso cui il bullo procura un danno alla vittima. Distinguiamo, infatti, le prepotenze dirette e quelle indirette. Il bullismo diretto, in cui il bullo aggredisce la vittima in maniera aperta e manifesta, è costituito dai comportamenti aggressivi e prepotenti più visibili e può essere agito in forme sia fisiche (picchiare, dare calci, spingere…), sia verbali (offendere, insultare, esprimere pensieri razzisti…). Il bullismo di tipo indiretto, invece, si gioca più sul piano psicologico, è meno evidente e più difficile da individuare, ma non per questo meno dannoso per la vittima. I bulli non affrontano la vittima apertamente, ma cercano di procurarle un danno in modo indiretto, ad esempio danneggiando o rubando gli oggetti personali, diffondendo cattiverie o calunnie sul suo conto o spingendo gli altri ad isolarla.

Attualmente si sta sviluppando una nuova forma di bullismo: il “cyberbullismo”, che consiste nell’uso di internet o del telefono cellulare per commettere prepotenze ai danni dei coetanei, attraverso l’uso di messaggi ingiuriosi o minacciosi inviati attraverso il cellulare, la realizzazione di fotografie e video a danno delle vittime, l’invio di e-mail o Instant Messaging, la prevaricazione attuata nella chatroom attraverso offese, calunnie o isolamento della conversazione.

Il bullismo è un fenomeno che coinvolge diversi protagonisti: coloro che commettono il danno, i cosiddetti bulli, i quali sono a rischio di problematiche antisociali e devianti; le vittime, le quali sono propense ad un’eccessiva insicurezza caratteriale, che può portare anche a sintomatologie di tipo depressivo, perdita di autostima e di fiducia nelle istituzioni sociali. Tuttavia, il bullismo è un problema che va oltre l’individuo  oppressore ed oppresso, in quanto il clima di tensione che si instaura va a influenzare la famiglia, la scuola e le altre istituzioni sociali e coinvolge, inoltre, un ulteriore gruppo di ragazzi che possono avere un ruolo fondamentale nell’influenzare e nel permettere il perpetrarsi di questi atti bullistici, ovvero gli spettatori, i quali si trovano a vivere in un contesto caratterizzato da inquinamento sociale delle relazioni che può portare a sviluppare paura, ansia e omertà. Questi, considerati da alcuni una maggioranza silenziosa, possono in realtà rappresentare una grandissima risorsa in quanto è proprio agendo su di essi che si può ridurre il diffondersi del bullismo: la mancanza di opposizione e l’adesione a una logica di omertà, infatti, portano alla  legittimizzazione di comportamenti prevaricatori e ne accrescono la loro perpetuazione. Essi possono mettere in atto comportamenti molto differenti: possono prendere le difese della vittima, guardare senza intervenire, aiutare il bullo. Gli spettatori, attualmente, sono considerati come la chiave d’intervento nel bullismo, in quanto essi hanno molte più risorse sociali delle vittime per portare dei cambiamenti mettendo in atto delle strategie dirette o indirette.

Nonostante il problema sia da molti sottovalutato, il bullismo produce effetti che si protraggono nel tempo e che comportano dei rischi evolutivi tanto per chi agisce quanto per chi subisce prepotenze. Bulli e vittime restano spesso imprigionati nei loro ruoli, ripetendo un copione che tende ad autoperpetuarsi. Spesso accade, infatti, che bambini che hanno sistematicamente sopraffatto gli altri, acquisiscano modalità relazionali non appropriate in quanto caratterizzate da forte aggressività e dal bisogno di dominare sugli altri, e abbiano perciò forti probabilità di continuare in tale strategia, non solo perché continuano ad avere quelle caratteristiche di aggressività, impulsività, irrequietezza, irritabilità che sono sempre state alla base del loro comportamento, ma perché la reputazione che li circonda fa sì che non possano fare a meno di comportarsi come gli altri si aspettano da loro; tale atteggiamento può diventare trasversale ai vari contesti di vita poiché il soggetto tenderà a riproporre in tutte le situazioni lo stesso stile comportamentale. Di conseguenza, a lungo termine si delinea per il bullo il rischio di condotte antisociali e devianti in età adolescenziale e adulta. Altrettanto vale per le vittime abitudinarie, che continuano a reagire all’aggressività in modo inadeguato o a mettere in moto una serie ben conosciuta di meccanismi di difesa per evitare un’esperienza, come quella scolastica, fonte di frustrazione. La vittima, nell’immediato, può manifestare disturbi di vario genere a livello sia fisico che psicologico e può sperimentare il desiderio di non frequentare più i luoghi dove solitamente incontra il suo persecutore, in quanto li percepisce come pericolosi e quindi da evitare; vive una sofferenza molto profonda, che implica spesso una svalutazione della propria identità. A distanza di tempo possono persistere tratti di personalità insicura e ansiosa tali da portare, in alcuni casi e con più probabilità rispetto ad altri, a episodi di depressione.

Ma cosa si può fare per prevenire questo fenomeno? Bisogna considerare la scuola come luogo privilegiato per gli interventi, perché fin dalla scuola dell’infanzia è possibile avviare dei programmi di prevenzione educativa.  Alla base di questo tipo di intervento vi è l’idea di dover agire, non attraverso interventi specialistici esterni alla scuola, ma facendo in modo di attivare le risorse della scuola stessa e quindi coinvolgendo insegnanti, studenti, genitori e personale non docente.  Lavorare invece esclusivamente con quei ragazzi definiti come “problematici” può portare al sorgere di possibili effetti negativi; da alcuni dati, infatti, emerge che, dopo alcuni interventi condotti con ragazzi problematici a livello di gruppo, seppur creato a scopi formativi e di recupero, in realtà al suo interno i ragazzi rafforzavano valori e comportamenti negativi.  Dunque, elemento fondamentale di tutti gli interventi scolastici antibullismo è il coinvolgimento, in tutte le fasi del progetto, di tutti i protagonisti, soprattutto gli insegnanti che sono in prima linea a contrastare i comportamenti aggressivi tra studenti, aspirando alla conoscenza dei soggetti e del loro temperamento in modo tale da potenziarne le risorse e comprendere i rischi a cui vanno incontro, per aiutarli a prendere consapevolezza delle proprie potenzialità, ad amare la propria persona e a rispettare gli altri. Una politica integrata di istituto potrebbe essere lo strumento principale per far fronte in maniera efficace al problema dei comportamenti bullistici nelle scuole. Per “politica” si intende, in questo contesto, una dichiarazione di intenti che guidi l’azione e l’organizzazione all’interno di una scuola; consiste nell’esplicitare una serie di obiettivi definiti che diano agli alunni, al personale e ai genitori un’indicazione e una dimostrazione tangibile che la scuola si applica a fare qualcosa contro il bullismo.

Uno dei punti fondamentali degli interventi antibullismo riguarda il coinvolgere le famiglie: l’ambiente familiare, oltre a dover sempre appoggiare la scuola che mette in atto politiche di antibullismo, è prima di tutto il luogo in cui si può prevenire la messa in atto di comportamenti prepotenti da parte dei bambini; in secondo luogo i genitori sono gli adulti che hanno la maggiore possibilità di entrare in interazione in maniera diretta con i propri figli; infine, essi possono aiutare i propri figli a conoscere, apprendere e interiorizzare abilità e comportamenti da poter poi utilizzare anche in altri contesti. Il primo passo che può essere fatto da un genitore è quello di saper riconoscere il bullismo, senza confonderlo con altri tipi di comportamento. Anche se spesso i genitori tendono a sostenere gli studenti vittime di bullismo, condannando le azioni prevaricanti, non sempre questo loro atteggiamento li porta a mettere in atto comportamenti appropriati verso i figli. I genitori devono essere consapevoli di avere un ruolo attivo di prevenzione e intervento con essi. Dovranno instaurare un rapporto di fiducia con il proprio figlio e seguire alcuni comportamenti per poter intervenire efficacemente. Ad esempio sarà importante: favorire il dialogo; focalizzarsi sull’ascolto come caratteristica fondamentale della comunicazione; non minimizzare il problema; far sentire al figlio la propria presenza; non orientarsi su posizioni estreme (di accusa o difesa) nei confronti del proprio figlio; prestare attenzione al vissuto emotivo di quest’ultimo; fare in modo che il proprio figlio  chieda aiuto; trovare insieme una soluzione al problema; incrementare l’autostima del bambino; favorire l’autonomia del figlio; aiutare il bambino ad assumere consapevolezza dei propri atteggiamenti; incoraggiare momenti di socializzazione positiva.

Se vuoi approfondire l’argomento scrivi a: viviana.guadalupi88@gmail.com