Bari si è inventata prima un porto, adesso un retroporto. Una differenza? Decaro ha silenziato Borri, Rossi gli ha dato le chiavi della città
BRINDISI – Con un Piano regolatore portuale risalente agli anni ’70, Bari e Taranto stanno cambiando la loro storia portuale ed economica. E nelle more che sarà pronto il nuovo Piano regolatore portuale, il porto di Brindisi sarà confinato a un ruolo poco più che regionale, mentre i due competitor guarderanno al Mediterraneo e al mondo intero con grandi possibilità di imporsi in un mercato tanto ricco di opportunità quanto spietato.
Grande porto commerciale e industriale, Taranto lo è sempre stato: adesso, però, si sta lavorando per trasformarlo in un grande hub turistico-crocieristico e per la grande cantieristica. A dimostrazione ulteriore che l’accorpamento con Taranto non avrebbe rappresentato una mossa poi così lungimirante.
Il porto di Bari, invece, con i suoi angusti spazi e le banchine sature, avrebbe potuto rappresentare paradossalmente per Brindisi una grande occasione, nell’alveo di una vision di sistema del Basso Adriatico che poteva trasformare Bari e Brindisi in un’unica grande piattaforma da offrire sul mercato internazionale.
Già, poteva. Perché alla fine Brindisi non è l’ombelico del mondo, ma semmai è più come quelle fighe di legno delle quali a un certo punto inevitabilmente ti stanchi.
E allora è accaduto che Bari, nell’immaginario collettivo rappresentato come un hub per le crociere e i traghetti, abbia superato il porto di Brindisi come traffico di merci (!!!) e stia correndo a grandi falcate verso l’aggressione delle opportunità offerte dal mondo della logistica e dell’intermodalità. Come? Inventandosi a botta di milioni di euro un retroporto. Proprio come in passato si sono inventati un porto.
Qual è la differenza tra Brindisi e Bari? Ad esempio che a Bari, il prof. Dino Borri ha provato per anni a contrastare il progetto della costruzione dell’ansa di Marisabella, perché individuata come area a rischio idrogeologico (non a caso a Brindisi negli ultimi tempi abbiamo scoperto di essere una città con tanti punti a rischio idrogeologico) e perché troppo impattante a livello ambientale. Ma a Bari, Patroni Griffi e De Caro hanno messo il silenziatore a queste tesi, scegliendo lo sviluppo, che passerà dai container, dai ro-ro e dalla “camionale”, un investimento da svariate decine di milioni di euro che sostanzialmente consentirà a Bari, con la costruzione di questa arteria, di innervare e creare dal nulla un retroporto in grado di ospitare una zona franca doganale, di aprirsi all’intermodalità e alla logistica, di sostenere il comparto industriale.
A Brindisi, invece, il prof. Borri è stato assoldato come testa d’ariete della visione di sviluppo futuro della città. Una visione coerente con la storia di Borri, che come aveva osteggiato la colmata di Marisabella e gli investimenti e lo sviluppo sopra descritto che ne conseguirà per Bari, così adesso osteggia tutte le opere che possono portare sviluppo economico ma al contempo costituire – a suo avviso – rischi idrogeologici e ambientali. Anche se, una domanda sorge spontanea: ma Decaro, quindi, è da considerarsi un mostro che vuole distruggere l’ambiente e far crollare la qualità della vita dei suoi concittadini?
Non siamo in grado di rispondere, mentre siamo in grado di raccontare che Brindisi sta perdendo qualsiasi vantaggio competitivo rispetto agli altri porti. Le grandi aree retroportuali, la vocazione intermodale e polifunzionale delle banchine di cui dispone il porto di Brindisi, infatti, presto rappresenteranno soltanto l’ennesima condizione sulla carta della quale vantarci a vacante, rammaricandoci delle potenzialità della nostra città e dolendoci per le malefatte di quei cattivoni di baresi e tarantini che ci scippano tutto quello che ci spetta per diritto divino.
E che ci sia una strategia dettata dal maggiore peso politico dei competitor, inizia seriamente a dover essere preso in considerazione, perché se dalla Regione e dal Governo nessuno fiata rispetto alla clamorosa impasse vussuta dal porto di Brindisi e dalle opere finanziate e sistematicamente bloccate dalla lunatica burocrazia, allora vuol dire che questa situazione, in fondo, non dispiace a più di qualcuno.
Almeno ai brindisini, però, dovrebbe dispiacere il fatto che invece che a Brindisi, la stazione di rifornimento gnl per grandi navi di ultima generazione e autorimorchi, la zona franca doganale interclusa, gli investimenti nella logistica favoriti dall’intermodalità vengano realizzati altrove. Dove le condizioni strutturali lo sconsiglierebbero ma dove l’interlocuzione politica è nettamente più ragionevole e proficua.