EDITORIALE – Quella libertà perduta non per eccezione ma per regola. Quell’8 marzo in cui ci risvegliammo oppressi…
Siamo andati a dormire liberi e ci siamo risvegliati oppressi. L’8 marzo. Proprio in una giornata in cui si celebrano i diritti e le libertà conquistate.
Siamo sotto dittatura, questo è un fatto. Il dubbio è sull’identità del dittatore: più di qualcuno lo identifica nel virus. Ma è più serio indicarlo nella Stato. Quello Stato d’eccezione che viene spesso richiamato, ma che di fatto, per la durata che è destinato ad avere, diventerà la regola. Una regola, quella del diritto di non avere diritti, che rappresenta un boccone amaro da mandare giù.
Già, un diritto. Perché la beffa consiste nel fatto che la sequela impressionante di compressioni delle nostre libertà, della nostra libertà per come l’abbiamo conosciuta, viene mercanteggiata come fosse un diritto. Quello di vedersi garantita la propria salute e quella degli altri.
E chi lo decide che le privazioni alle quali ci state sottoponendo rappresentano il meglio per noi? Chi lo stabilisce che la salute mentale, il sistema cardiovascolare o le malattie croniche non si trasformeranno, per molti soggetti, in un nemico più pericoloso del Coronavirus stesso? Chi ci garantisce che questa medicina è il meglio per noi, se viene pubblicamente ammesso che il nemico è ancora poco conosciuto?
Ecco perché tanti altri Paesi hanno deciso precauzionalmente di risolvere la questione demandando alla responsabilità individuale dei cittadini. Non è una forma di menefreghismo, al contrario: è l’acme dell’umanesimo. Ed è la migliore forma per onorare la libertà, la più preziosa delle condizioni conquistate.
Quella libertà perduta non per eccezione, ma per regola. Come nel peggiore degli incubi.
Andrea Pezzuto