BRINDISI – Molti cittadini da tempo sentono parlare del famigerato caso “Acque chiare”, questo splendido villaggio residenziale situato in contrada Torre Testa sulla litoranea nord di Brindisi, adiacente allo storico lido di S.Anna dove generazioni di adolescenti sono cresciuti a pane e tuffi dal pontile. Fra gli abitanti, però, non tantissimi avranno realmente chiari i motivi giuridici che hanno condotto tale villaggio a non poter essere più utilizzato, in primis da coloro che a suo tempo acquistarono le villette sostenendo ingenti oneri economici.
Nel maggio del 2008 fu contestato il reato di “lottizzazione abusiva” al costruttore Romanazzi, al notaio Bruno Cafaro – che si era occupato della stipula di buona parte dei rogiti -, al progettista Orsan e all’ex dirigente del settore Urbanistica Carlo Cioffi. La mano della giustizia si allargò tuttavia fino a contestare siffatto reato anche ai proprietari delle ville, rei di aver acquistato gli immobili consapevoli della loro irregolarità.
Premesso ciò, perché dunque il villaggio è marcito tra le siepi senza essere più utilizzato? Semplicemente perché esiste una norma giuridica, l’art. 44 del testo unico sull’edilizia (d.P.R. 380/2001), che prevede la confisca dei beni interessati dal reato di lottizzazione abusiva. Tale disposizione è tuttora al centro di un imponente dibattito in merito alla sua natura giuridica: la confisca è una sanzione penale – come parrebbe desumersi dall’esplicito riferimento del testo unico – o una semplice sanzione amministrativa? L’interrogativo, apparentemente irrilevante, ha dei rilievi pratici non indifferenti tutte le volte in cui il decorso del tempo faccia cadere il procedimento penale in prescrizione: in tale ipotesi è possibile applicare la confisca pur in assenza di condanna? Perché, ove ad essa sia attribuita natura di pena, questa non potrebbe essere applicata se non in presenza di una sentenza di condanna; solo ed unicamente quando il giudice pronuncia la condanna dell’imputato (nel nostro caso, degli imputati) al termine del processo. Diversamente dovrebbe concludersi se alla confisca sia riconosciuta – come sostenuto dalla giurisprudenza italiana – natura amministrativa: in tal caso nulla osterebbe alla sua applicazione.
In tutti questi anni la vicenda Acque Chiare ha visto dipendere le proprie sorti proprio dal contrasto esistente tra i giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, organo posto a presidio dei diritti fondamentali della persona umana, e i giudici italiani della Corte di Cassazione e, finanche, della Corte Costituzionale. I primi orientati a ritenere questa confisca una vera e propria sanzione penale – una pena in senso stretto – e dunque applicabile solo a fronte di una condanna (emblematica in tal senso la sentenza Varvara contro Italia); i secondi – Cassazione e Corte Costituzionale – inclini invece ad essere meno garantisti, mossi dall’intento di punire gli autori del reato a condizione che, pur in assenza di una declaratoria di prescrizione del reato, sia provata in giudizio la colpevolezza degli imputati.
Nel nostro caso è effettivamente intervenuta la prescrizione riguardo ai proprietari degli immobili, i quali – facendo affidamento sui precedenti giurisprudenziali europei – hanno pensato di poter vedere la luce in fondo al tunnel di oscurità iniziato undici anni addietro. Non hanno però fatto i conti con l’ostinata volontà della magistratura italiana di far prevalere l’intento sanzionatorio, disinteressandosi così della assenza di una formale sentenza di condanna (in questo senso, per chi fosse interessato, si veda, fra le altre, la sentenza n. 49 del 2015 della Consulta) e gettando nuovamente nello sconforto gli acquirenti speranzosi.
Chiarito il primo ordine di problemi, occorre soffermarsi sulla seconda – e forse più penetrante – vicenda: coloro che hanno comprato le diverse ville erano a conoscenza delle macroscopiche irregolarità urbanistiche del complesso residenziale? Perché, pur potendo in astratto applicare la confisca a seguito della sua natura amministrativa, sarebbe da valutare in concreto la sussistenza della buona fede dei proprietari i quali, se estranei alla vicenda, avrebbero tutto il diritto di chiedere la restituzione dei beni vincolati per mancanza dell’elemento “soggettivo” del reato: cioè, la consapevolezza e la volontà di concorrere nel reato di lottizzazione abusiva.
Su tale fronte si è giocata la partita in sede penale e continua a giocarsi presso la Corte di Appello di Lecce, la cui sentenza tuttavia ancora non è stata pronunciata perché si attendono da Roma notizie dalla Corte di Cassazione che (si spera, una volta per tutte) possa prendere una definitiva posizione sulla applicabilità della confisca nel caso di lottizzazione abusiva.
Non è semplice – per chi come il sottoscritto non ha in mano le carte processuali – dare un giudizio esaustivo e corretto sul ruolo delle varie famiglie che hanno acquistato gli immobili abusivi. E’ possibile che taluni abbiano agito avendo coscienza dell’illiceità commessa, così come è altrettanto verosimile che non tutti avessero davvero chiaro il pasticcio entro il quale si stavano cacciando. Una cosa è certa: dopo undici anni assistiamo all’oramai totale deterioramento di molte villette, al totale abbandono di quel tratto di litorale sul quale spadroneggiano serpenti e animali di ogni tipo ma, soprattutto, ci troviamo a commentare una tristissima pagina di illegalità che ha coinvolto soggetti pubblici e privati e ha consegnato Brindisi, per l’ennesima volta, al pubblico ludibrio. Non si può giustificare in alcun modo l’operato di tali soggetti solo in virtù della bellezza dell’opera e delle sue potenziali finalità; la legge si rispetta nelle piccole come nelle grandi cose, anche se purtroppo non piace o non si è d’accordo.
Bisogna dunque sperare che questo doloroso capitolo della storia brindisina si chiuda nel più breve tempo possibile, auspicandoci che una nuova “Acque Chiare” faccia parlare di sé in termini opposti a quelli a cui siamo stati costretti ad assistere in questi lunghi undici anni. Undici anni di gioia e di dolore, di speranza e rassegnazione.
Luigi Rubino