BRINDISI – “Lo Zingaro – Non esiste curva dove non si possa sorpassare”, prova da solista di Marco Bocci, è lo spettacolo in scena mercoledì 11 maggio – con sipario alle ore 20.30 – al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi. Il testo di Marco Bonini, Gianni Corsi e dello stesso Bocci, è prodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo con Stefano Francioni Produzioni. Una data per un monologo emotivo ed appassionante che racconta la storia esemplare di un pilota di auto sconosciuto il cui destino è però legato in modo indissolubile a un mito della Formula 1, Ayrton Senna, scomparso in un incidente in pista a Imola nel 1994, a 34 anni.
Biglietti disponibili online su rebrand.ly/lozingaro e in botteghino secondo le giornate e i consueti orari di apertura, ore 11-13 e 16.30-18.30. Il giorno dello spettacolo, ore 11-13 e 19-20.30. Utilizzo obbligatorio della mascherina FFP2.
Ricostruendo in parallelo la vicenda personale dello Zingaro, nomignolo del protagonista, e quella di Senna, il racconto intreccia coincidenze, premonizioni e intuizioni: il primo incontro con Senna, il primo Gran Premio visto dalla pista, il rapporto con il padre, il primo go-kart, la scelta di correre, il legame profondo con la famiglia e il desiderio di crearne una propria dopo il divertente incontro con la moglie. E ancora Senna, Senna ovunque. Senna davanti agli occhi dello Zingaro in ogni tornante, in ogni scelta. Lo Zingaro cerca se stesso attraverso un legame quasi ossessivo con il grande campione di San Paolo. «Era il primo maggio 1994 e avevo 15 anni – ha raccontato Marco Bocci -. Mi trovavo al circuito di Imola per assistere alla performance del mio idolo, Ayrton Senna. A un certo punto non si capisce più nulla e ben presto si percepisce la gravità della situazione, la gara viene interrotta. Arriva l’ambulanza, poi l’elicottero. Mi piomba addosso il silenzio di migliaia di persone. Assistere alla morte in diretta è un orrore». Esattamente 24 anni dopo, primo maggio anche in questo caso, nell’autodromo “Borzacchini”, in Umbria, è proprio Bocci a partecipare a una gara di formula Bmw. «Stavolta sono io la vittima di un terribile incidente, sembra ripetersi il tragico epilogo di Imola. Invece, proprio quell’incidente ha permesso di accertare e diagnosticare una malattia al cervello che altrimenti avrebbe condotto a un esito irreversibile».
La storia dello Zingaro è dunque la storia del suo interprete, l’incidente e la malattia sono fatti biografici che il protagonista offre allo spettatore. Le diapositive di Bocci pilota consegnano al pubblico la distanza del tempo, l’immagine dell’attore/personaggio che disvela un pezzo di sé e dietro la finzione del teatro chiede a chi assiste di farsi compartecipe di un fatto vero, di un cambiamento dell’uomo prima che dell’attore. In tutto questo è avvertita la necessità dell’artista di vedere da fuori quello che gli è accaduto e di condividerlo, senza retorica, con grande sincerità. Il punto di forza dello spettacolo, ha spiegato Marco Bocci, sta proprio nella «ricerca dell’emozione, dell’emotività. L’andare fino al midollo dei sentimenti, il voler capire da dove vengono le nostre emozioni. A volte cerchiamo una spiegazione al perché nella vita accadono determinate cose. È tutto scritto, abbiamo un percorso che siamo obbligati a fare o tracciamo noi stessi il nostro cammino?».
Le strade dello Zingaro e di Ayrton Senna scorrono parallele ma a un certo punto si dividono. Quella di Ayrton, il pilota che ha fatto la storia della Formula 1, si schianta alla curva del Tamburello, la traiettoria dello Zingaro, invece, lambisce la tragedia e torna indietro diventando salvifica e lasciando in dote un destino diverso. Ayrton e lo Zingaro, uno di fianco all’altro, lanciati a gran velocità verso una curva, verso un crocevia con sensi opposti. Lo Zingaro poteva pagare con la vita, quell’incidente gliel’ha restituita. Quella di Ayrton, invece, è diventata leggenda magnificando per sempre l’icona del campione. Entrambi un primo di maggio qualsiasi. «Quando sei in salute – ha concluso Bocci – prendi spesso il peggio della vita come se ogni cosa fosse dovuta o scontata. Io avevo progetti, programmavo investimenti sul lavoro, mi sentivo invincibile, poi d’un tratto ho imparato che occorre vivere giorno per giorno e apprezzare ciò che chiamiamo con leggerezza “normalità”, scoprire la vita come un dono e abbracciarla mentre la stai vivendo. Abbiamo una percezione della morte sbagliata perché pensiamo che non ci riguardi, che sia solo un pensiero da scacciare. Preferiamo ragionare e vivere come se non esistesse. Ma quando ti tocca in prima persona, cambia il modo di vedere tutto, ti attacchi al presente, vivi ogni attimo con più consapevolezza e profondità ricollocando ogni progetto nel tempo giusto. L’incidente mi ha dato una gran voglia di vivere. Tornare in pista? No, mai più. Mi manca la follia giusta. Oltretutto ho due figli ed Enzo Ferrari diceva che i piloti, quando diventano padri, perdono un secondo a giro per ogni figlio. L’importanza degli affetti toglie sempre qualcosa all’incoscienza».