BRINDISI – Fortunatamente la trasmissione è registrata e fra poco sarà disponibile on demand. Le cose che ho detto (verificabili):
1. Il porto di Brindisi è un porto industriale, la cui principale movimentazione è rappresentata – tutt’oggi – dal carbone. Una attività labour intensive che dà lavoro a circa 3500/4000 persone, tra diretti ed indiretti.
2. Il pHase out dal carbone, non governato, rischia di provocare uno tsunami sociale
3. Il carbone è una merce legata ad un ciclo portuale/industriale e quindi il governo del pHase out implica la sostituzione di questa merce con altra merce (mele con mele)
4. La realizzazione dei parchi eolici offshore (cui ovviamente sono favorevolissimo e, anzi, ho personalmente auspicato di accelerare l’iter di quello più maturo dinanzi a Cerano) non solo ha tempi burocratici lunghi ma non è risolutiva delle problematiche collegate al pHase out. Da un punto di vista tecnico si tratta di un project cargo che potrà dare lavoro per un limitato periodo di tempo a molta gente ma nel medio/lungo periodo non è in grado di sostituire la scomparsa di un ciclo portuale/industriale labour intensive. Una pera (project cargo) che non sostituisce una mela (una rinfusa solida quale è il carbone). Sul piano sostanziale potrebbe essere un ottimo ammortizzatore sociale, sebene insufficiente, per le conseguenze sociali innescate dal pHase out.
5. Premesso, quindi, che il problema è di sostituire mele con mele (merce con merce), nell’economia di un porto il gas è sicuramente una merce. Non l’unica. Ma una merce in forte richiesta e che potrebbe parzialmente sostituire il carbone. Inoltre il gas (in tutte le sue accezioni: Gnl, bio Gnl, syngas, idrogeno) fa parte della transizione energetica, ed è utile alla produzione di carburanti di fine transizione (ammonia, metanolo etc). Gli impianti relativi sono poi scalabili, nel senso che possono accogliere gas fossile, ma in futuro sono già predisposti per i biogas e l’ammoniaca (carburanti carbon neutral). La realizzazione di questi impianti anticipa la esigenze infrastrutturali del futuro, e sostiene la reindustrializzazione del retroporto (chimica verde, impianti di produzione di biogas e syngas etc)
6. I porti del mezzogiorno sono – lo dice il governo e lo confermano tutti gli studi – gli hub fondamentali dei nuovi corridoi energetici. Soprattutto con i paesi Mena. Corridoi che – se avviati – potrebbero veicolare oltre a merci legate al fabbisogno energetico tante altre merci (rotabili, materie prime, prodotti del made in Puglia e del made in Italy). Valorizzando zes e zone franche doganali.
7. I rigasificatori offshore hanno impatti minimi sotto tutti i profili (ambientali, sicurezza, operatività del porto). Presiedono ad una importante filiera industriale che ha un impatto occupazionale di circa 1000 posti di lavoro (diretti ed indiretti). I dati sono pubblici e verificabili. D’altronde la ricaduta annua del rigasificatore di Livorno è di 10 mio euro sul retroporto 6 mio euro sul porto.
8. I depositi small scale sono resilienti alla transizione energetica (vedi sopra). Anche qui l’impatto occupazionale è stimabile in 250 unità (se non ci credete chiedete a Ravenna) tra diretti ed indiretti. Non proprio una pizzeria direi …
9. Gli accosti di Sant’Apollinare che si chiede, giustamente, di accelerare (mentre prima li si è veementemente contestati, ma tutti hanno il diritto di cambiare idea) sono indissolubilmente legati alla cassa di colmata, la cui realizzazione è stata osteggiata e irresponsabilmente ritardata. La realizzazione degli accosti comporta la gestione di 150/200.000 MC di fanghi, per cui la legge ai fini autorizzatori impone l’indicazione del luogo, finale, di destinazione. Che nelle aree Sin , per volumi di tal fatta, a legislazione attuale, può essere (per ragioni tecniche, ambientali ed economiche) solo una cassa di colmata adeguatamente impermeabilizzata (rappresento il Mims nel gruppo di lavoro sulla riforma dei dragaggi e so di cosa parlo). Con l’appalto della cassa di colmata si potrebbe anticipare la realizzazione degli accosti, prevedendo uno stoccaggio temporaneo dei sedimenti (operazione comunque non semplice e neppure economica perché deve essere garantita la non contaminazione della falda). Se lo si volesse fare (e io dico che bisognerebbe farlo perché gli accosti sono necessari) bisogna trovare 7/10 ha in prossimità del porto dove depositare il materiale. Il porto infatti non possiede aree disponibili, dacché l’area di Capobianco è interessata da un finanziamento Pnrr per realizzarvi la zona franca doganale (essenziale per lo sviluppo del porto e per il Project cargo ivi incluso l’eolico offshore), è certo nessuno sano di mente vorrebbe perdere questo finanziamento e pregiudicare la realizzazione della zona franca. Nei prossimi giorni formalizzerò alle autorità competenti la richiesta di aree idonee al deposito dei sedimenti di Sant’Apollinare, confidando nella collaborazione istituzionale connessa alla accelerata realizzazione di una opera di cui tutti, oggi, condividono l’importanza
Fatti. Semplici, incontrovertibili.
Post Ugo Patroni Griffi, presidente Autorità portuale