Centrale a gas Enel, Legambiente: “Solo 60 occupati, nessun indotto”. Presente anche la sen. L’Abbate
BRINDISI – Le associazioni ambientaliste si sono ritrovate sul lungomare per dire no alla conversione a gas della centrale Enel di Cerano. Un impianto che non garantirebbe ritorni significativi al territorio. Un investimento compiuto solo per intercettare i finanziamenti statali offerti tramite il capacity market. «Il progetto di Enel per la nuova centrale – dichiara Doretto Marinazzo, presidente di Legambiente Brindisi – prevede soltanto 60 posti di lavoro diretti e nessun indotto sul territorio. Nell’area Enel abbiamo proposto investimenti in fotovoltaico, solare termodinamico, idrogeno da moto ondoso con un progetto brevettato da brindisini. Con questi impianti cambieremmo realmente il volto di quell’area».
Per la senatrice del M5S, Patty L’Abbate, la transizione non si può immaginare senza degli step intermedi: «Purtroppo il gas dobbiamo utilizzarlo perché al momento non ce la facciamo solo con le rinnovabili. Questo, però, non deve costituire un alibi per mantenere impianti a gas nel lungo periodo. Gli impianti a gas devono servire solo a supporto delle rinnovabili, altrimenti ci ritroveremo sempre ad emettere C02 in atmosfera con il metano».
Presente alla manifestazione anche Ruggero Ronzulli, presidente di Legambiente Puglia, che ha spiegato quali siano le strade percorribili per Brindisi: «Siamo a favore degli investimenti nelle rinnovabili nelle aree Sin. Ad esempio a Brindisi abbiamo proposto impianti fotovoltaici con accumulo per la filiera dell’idrogeno. A Brindisi, inoltre, è in piedi l’ipotesi di un impianto eolico off-shore, al quale non siamo contrari a prescindere. Sfatiamo il falso mito che la Puglia è energeticamente indipendente: il 70% dell’energia pugliese è prodotto dalle centrali termoelettriche. Per questo è importante investire nelle rinnovabili».
A fargli eco è Marinazzo: «Nell’area Sin si può realizzare un grosso impianto fotovoltaico, sviluppando la filiera dell’accumulo che è di grandi prospettive economiche ed occupazionali. Tanti investitori hanno risposto all’avviso pubblico del governo che prevede un finanziamento per realizzare una hydrogen valley in zona industriale. Tuttavia tali investimenti vengono bloccati perché il governo non dispone l’analisi di rischio su quei terreni». E su questo punto torna il solito dilemma: in presenza di una contaminazione che rende compatibili insediamenti produttivi, sarebbe meglio puntare sull’idrogeno o sul manifatturiero labour intensive? Urge un dibattito allargato.