La Scuola torna centrale nell’agenda della politica italiana: è già un piccolo aspetto positivo dopo l’emergenza sanitaria da Coronavirus. Non è scontato dal momento che per anni è stato un tema marginale o dimenticato in questo Paese. Purtroppo le discussioni di questi giorni rischiano di portare al solito vicolo cieco. Il rischio è che la Scuola riapra…esattamente come prima.
Al momento è chiaro che questi mesi di chiusura forzata non sono stati sfruttati per mettere a punto importanti e necessari cambiamenti di un sistema che, non aggiornandosi, sente il peso della vecchiaia in una società profondamente diversa da quella in cui è stato concepito.
Dai momenti difficili come questi che dovrebbero nascere piccole, ma significative rivoluzioni. È lecito, dunque, domandarsi: l’emergenza ci porterà finalmente a sperimentare un modello scolastico diverso?
Questo tempo di quarantena forzata hanno donato a tutte le famiglie più tempo (ricchezza ormai rara) da trascorrere insieme. Figli con genitori, mariti con mogli, fratelli con sorelle. Mesi che però hanno fatto emergere chiaro il bisogno di tornare a scuola, superando la didattica a distanza sperimentale per inquadrarla in un sistema innovativo che alterni le due fasi.
Ma non solo. Sono anni che si parla, ad esempio, della questione banale, quanto fondamentale, della durata dell’anno scolastico. Eppure nessuno è mai riuscito a cambiare quel calendario che va da settembre a giugno, lo stesso ormai da quasi 50 anni. D’altronde, però, l’emergenza coronavirus ci porta a ripensare le nostre abitudini, esigenze, vite. Proprio in questi giorni, infatti, ci rendiamo conto dell’importanza sociale che svolge la scuola anche nei confronti del mondo produttivo. È dunque arrivato il momento di dirlo con chiarezza: bisogna sperimentare il prolungamento dell’apertura delle scuole. È evidente che chiudere gli istituti quasi quattro mesi per la lunga pausa estiva, è un lusso che questa società non può più concedersi.
Dire che la scuola si occupa dei nostri ragazzi mentre i genitori lavorano sembra una eresia ma così non è. I ritmi lavorativi, gli esigui stipendi medi degli italiani rispetto al costo della vita riducono il potere di spesa di tanti genitori nei confronti dell’assistenza dei propri figli. Succede così, ancora troppo spesso, che a tanti giovani convenga economicamente fare il mestiere del genitore, piuttosto che pagare nidi e baby sitter. Questo non è un bene per il sistema Paese. Perché i figli crescono e quegli stessi genitori invecchiano rimanendo poi disoccupati a vita.
Occorrono modifiche sistematiche importanti, una revisione degli organici e delle strutture edili ma è anche necessario soprattutto che finalmente si inizi a pensare davvero ad una scuola nuova.
Una scuola che dia a tutti i ragazzi le stesse opportunità, evitando lunghi mesi di stop estivo teoricamente di pausa ma nella pratica tristi e realistici, in cui, i poveri rimangono a casa al caldo e ad annoiarsi e i più benestanti vanno a fare costosi corsi formativi. È proprio l’estate, infatti, che rappresenta lo specchio della società italiana, divisa tra chi si può permettere di scegliere e chi, invece, deve trovare soluzioni low cost per affrontarla.
Una scuola che riveda i suoi programmi didattici con materie innovative e più utili ai cittadini del domani può davvero formare individui critici e più consapevoli.
Una scuola che si occupi sistematicamente anche dello sport e dell’attività fisica dei suoi ragazzi, per garantire benessere e salute e per alleggerire il costo di tali attività che oggi grava sulle famiglie.
Una scuola che si occupi e consideri le scienze delle arti (musica, pittura, teatro, ecc) al pari delle materie scientifiche perché è questo il tipo di formazione più in linea con la nostra storia e il nostro Paese e perché, anche questo, vorrebbe dire alleggerire il costo di tali attività alle famiglie.
Una scuola, infine, che insegni la pazienza necessaria a leggere ed affrontare il mondo complesso in cui viviamo e che educhi al rispetto ambientale, ai valori garantisti e di cooperazione sociale. Un organigramma scolastico che valorizzi autonomia degli istituti e degli insegnanti che andrebbero valutati (e premiati) non solo per il percorso intrapreso, ma per gli obiettivi raggiunti con i propri alunni. Tutto questo da attuare in maniera complementare ad una maggiore sinergia tra vari istituti scolastici e istituzioni.
Questa crisi ha permesso anche alla scuola di entrare nelle case e instaurare una reale e concreta collaborazione tra insegnanti e famiglie, permettendo ai due mondi di conoscersi reciprocamente meglio.
Ci vuole intelligenza, capacità di visione, voglia di contrastare le diseguaglianze tra studenti. E soprattutto, ovviamente, molti soldi. Che non andrebbero annoverati banalmente tra le spese, ma come produttivi e redditizi investimenti, concetto mai davvero accettato in Italia quando si parla di istruzione e formazione.
È impensabile pensare ad una scuola solo in remoto. Allo stesso tempo sarà impossibile tornare completamente al passato:
c’è bisogno dell’insegnante ma c’è bisogno che i ragazzi sazino la loro necessità di stare in gruppo e la loro socialità. Ci sono da affrontare e risolvere le difficoltà emerse in questa fase per chi ha delle disabilità. Tuttavia gli aspetti positivi sono una maggiore interdisciplinarietà e una diminuzione della competizione in negativo nella scuola. Aspetto curioso e interessante è sicuramente il capovolgimento della percezione del contesto tra alunni e insegnanti. Nelle scuole gli insegnanti si sentivano nel loro mondo, ora sono gli alunni che si sentono più a loro agio su internet, perché è un mondo che conoscono da quando sono nati e chissà quante cose diverse avrebbero fatto l’ultimo giorno di scuola se avessero saputo che questo sarebbe stato tale in seguito allo scoppio della pandemia.
Riusciremo a trasformare questi mesi in una grande opportunità? La paura è che sia l’ennesima occasione sprecata.
Tuttavia, accontentandoci, basterebbe anche solo iniziare a discutere di come rivoluzionare la scuola facendolo soprattutto sulla base delle esigenze degli studenti e delle loro famiglie e non solo degli insegnanti. Un cambio di prospettiva questo, che potrebbe portare ad introdurre gradualmente piccoli ma reali cambiamenti e ci permetterebbe di metterci definitivamente alle spalle i decenni in cui i problemi delle scuole, in tanti hanno fatto finta di non vedere.
Francesco Caroli