Ebbene ci siamo l’ora è giunta. Quando etica e politica si confrontano ne escono fuori discussioni affascinanti quanto aspre, perché incidono sulla nostra vita, ma anche sulla nostra morte.
E’ di alcune ore fa una lettera sconvolgente dei medici della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti). Secondo i medici, in questa situazione «può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone».
Questo testo diffuso e pubblicato sul sito internet di Siaarti, indirizzato ai colleghi vuole «fornire un supporto agli anestesisti-rianimatori attualmente impegnati a gestire in prima linea la maxi-emergenza che non ha precedenti per caratteristiche e proporzioni».
Tanto si potrebbe dire sulla gestione sanitaria degli anziani e non sto qui a ripeterlo perché sarebbe un ragionamento troppo lungo. Ma l’emergenza coronavirus ci porta all’attenzione un tema su cui ci si interrogava già da tempo, ed era evidente a chi, come chi qui scrive, ha studiato numeri e dati dell’attuale demografia italiana, del nostro SSN e dell’INPS.
Il tema della scelta non solo di come, ma novità assoluta in Italia, anche a chi destinare le esigue risorse disponibili. Per la cultura sanitaria italiana (cattolica ed egualitaria) è un cambio completo di paradigma: dalla cultura ippocratica a quella utilitaristica.
La prima, classica della tradizione latina, è contraddistinta dalla ricerca della cosa giusta, cioè fare di tutto per curare più gente possibile. È la cultura dei medici europei e in particolare degli italiani che vengono educati da secoli a scegliere la cura migliore atta alla guarigione, senza fare calcoli sui costi o ritorni sociali. Fare sempre tutto il possibile. La nostra Costituzione affronta questo concetto, ribadendo e mettendo al centro delle scelte, anche sanitarie, l’uguaglianza. Si deve curare e investire nella cura su un anziano di 90 anni, le stesse energie e risorse di un ragazzo di 20.
La filosofia utilitaristica, applicata anche alle scelte di politica sanitaria, è classica invece degli anglosassoni: fare quello che è conveniente. Concetto completamente diverso da quello ippocratico. Se c’è un rene disponibile non considero come possibile ricevente solo chi lo ha richiesto prima (cultura ippocratica) ma chi può “sfruttarlo” di più (agevolo un giovane).
La differenza tra i due approcci è decisiva e non si può, come già avvenuto su questi temi in passato, scaricare sui medici e dunque sulla coscienza dei singoli professionisti la mancanza di una assunzione di responsabilità della democrazia. Il tema riguarda l’etica, la religione, la scienza, ma anche e soprattutto la politica.
I progressi scientifici sono stati tanti e la situazione della salute complessiva in un Paese avanzato come l’Italia, rispetto 50 anni fa, è migliorata nettamente: abbiamo ora una popolazione più sana, ma complice la carenza di nascite, anche più anziana. L’emergenza di queste ore ha accelerato una discussione che avverrà nei prossimi anni: se chi ha bisogno di assistenza è numericamente di più di chi sovvenziona il sistema, esso non regge.
La matematica non cambia con il progresso scientifico e rimane la solita cinica di sempre.
La discussione su come debba avvenire la distribuzione delle risorse, le grandi scelte di politica sanitaria, la ricerca di equilibrio a garanzia della tenuta del sistema ci è stata sbattuta davanti agli occhi con brutalità inaudita da questo virus.
Oggi appare evidente: l’Italia non può più concedersi il lusso d conservare un paradigma esclusivamente ippocratico. Ad ogni modo adesso non abbiamo il tempo per pensarci, ma occorrerà farlo presto insieme, per cercare opportune soluzioni o perlomeno ulteriori elementi a garanzia -paradossalmente-anche dei più deboli. Perché quello che stiamo vivendo, è solo un assaggio di quello che potrebbe avvenire in futuro.
Francesco Caroli