BRINDISI – Sei spettacoli in streaming. Sei appuntamenti, cinque musicali e uno di teatro civile, che la Fondazione Nuovo Teatro Verdi di Brindisi ha messo online tra febbraio e aprile per distogliere la “pausa di silenzio” cui i teatri sono tenuti da oltre un anno. E, conti alla mano, l’iniziativa ha raccolto oltre 280.000 visualizzazioni, un risultato che sorprende e documenta quel “desiderio di teatro e di spettacolo” che il pubblico trattiene in attesa della riapertura delle sale.
Gli spettacoli sono stati trasmessi con appuntamento domenicale su diverse pagine Facebook e canali Youtube in modo da raggiungere più bacini di utenza e un’audience quanto più distribuita. Lo streaming ha infatti coinvolto più account social, dal Comune di Brindisi al Teatro Pubblico Pugliese fino ai portali d’informazione del territorio, creando una sorta di trasmissione a “pagine unificate”, un esperimento che ha suggellato un patto comune a favore del teatro e della musica. E che ha riscosso partecipazione ed entusiasmo. «Quando abbiamo proposto di condividere la trasmissione social degli spettacoli – ha detto Carmelo Grassi, direttore artistico del Verdi – hanno dato tutti piena disponibilità. Non era scontato e per questo li ringrazio. Ciascuna pagina ha contribuito a un risultato che ci gratifica e ci fa riflettere perché è la cifra di quanto il teatro manchi alla gente. Abbiamo ricevuto tantissimi messaggi, il pubblico ci aspetta, è il segno che l’attenzione e l’aspettativa non sono calate, anzi è vero il contrario. La privazione dell’arte gioca a suo favore. Abbiamo chiesto agli artisti di esibirsi offrendo alle telecamere lo sfondo della platea vuota, un modo per rendere protagonista il pubblico che non c’è. Lo spettacolo dal vivo “fa rumore” a dispetto del silenzio che lo pervade; ho apprezzato molto domenica scorsa l’idea della cantante Maky Ferrari di dare un significato diverso, vicino al teatro e alla musica, a un successo di Diodato».
Lo streaming ha permesso di incontrare migliaia di utenti social, un bilancio che non può passare inosservato. Lo streaming ha dalla sua i numeri, il teatro dal vivo invece l’essenza stessa del teatro. Tradizionalmente inteso. Ma i due mondi, che non si incontrano, possono però viaggiare su piani paralleli. In Italia la pandemia ha accelerato la corsa a ricucire il gap tecnologico-culturale che in molti Paesi è stato risolto da anni, in alcuni perfino da decenni.
I numeri consegnati dallo streaming misurano la potenza di questo strumento. Al quale occorre guardare con meno disincanto e più interesse. Non solo evidenze di cui compiacersi, ma una realtà da considerare per sperimentare forme meno tradizionali, oltre le esigenze di promozione. «Il digitale è uno strumento – ha continuato Carmelo Grassi – che può portare il contenuto del teatro anche alle nuove generazioni. Con l’esperienza del Verdi abbiamo investito in uno streaming di qualità, con più camere e un lavoro di regia, fatto professionalmente da Mimmo Greco, combinato tra quella teatrale e quella di ripresa. Il discrimine è la qualità. Con sei spettacoli abbiamo abbracciato un pubblico più ampio, siamo entrati nell’intimo della parola e della musica attraverso le performance degli artisti della città, chiedendoci cosa potesse colpire l’attenzione dello spettatore».
Una volta Eduardo De Filippo ebbe modo di scrivere: «Per fare buon teatro bisogna rendere la vita difficile all’attore». Il Covid ci è riuscito appieno. E a più di un anno dall’inizio della pandemia la ripresa resta ancora un orizzonte sfumato. Prima dello scoppio pandemico il teatro era orientato a spalancare finestre di dialogo con altre pratiche artistiche. Dialoghi con la letteratura, poi con la scienza, l’economia, la storia. Mondi che stanno intorno al teatro e con i quali confrontarsi. Sarà così anche dopo o la drammaturgia post-pandemica racconterà di questo tempo? «Ciò che è importante – ha concluso Carmelo Grassi – è che la nuova drammaturgia, quale che sarà il suo indirizzo, rifletta le nuove geografie della nostra vita. Questa è una necessità per un teatro che, come il Verdi, vuole essere un luogo di riflessione per la comunità. Quando la pandemia sarà passata, penso che l’esperienza dello streaming entrerà a far parte della vita del teatro, senza velleità alternative o rimpiazzanti. Permetterà di intercettare fasce di pubblico che normalmente non vanno a teatro. Il digitale è un terreno fertile di sperimentazione, non un surrogato: se partiamo da queste basi la chiusura dei teatri avrà restituito una freccia in più all’arco della scena. Il Nuovo Teatro Verdi ha toccato con mano il fermento della “piazza virtuale” e come ogni esperienza sarà utile per il seguito della storia».