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Il populismo giudiziario penetrato nelle aule giudiziarie vive nelle sentenze
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Il populismo giudiziario penetrato nelle aule giudiziarie vive nelle sentenze

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Uno Stato che vuole definirsi democratico e contemporaneamente avvalersi della possibilità di privare i cittadini della propria libertà, deve organizzare un sistema giudiziario che assicuri un complesso di garanzie tali da assicurare che un innocente non possa essere condannato al carcere.

La Sentenza numero 16458/2020 emessa dalla Corte di Cassazione, come tutte le sentenze della Cassazione mira a risolvere un problema giuridico, ma in questo caso, il problema viene trattato come la soluzione.

La Cassazione stabilisce infatti che è pienamente corretto tenere conto solo ed unicamente di ciò che sostiene l’accusa, tralasciando l’opinione della difesa. Nel processo in questione, l’accusa presentò una consulenza tecnica. La difesa rispose con un’altra consulenza tecnica, di segno opposto. Il giudice, nell’accogliere la tesi dell’accusa, non motivava sul rigetto della tesi difensiva, ignorando le questioni emerse con la consulenza tecnica difensiva. Per questo, la difesa ricorreva in Appello, ma si scontrava con la stessa indifferenza.

Ricorreva dunque in Cassazione e la Cassazione respingeva il ricorso. Motivazione? Semplice: la difesa non merita ascolto perché cura gli interessi dell’imputato ed è pertanto pagata per affermare una “verità di comodo” quella dell’imputato. Invece l’accusa è improntata alla ricerca della verità per tutti, quindi la sua opinione è da considerarsi imparziale e pertanto vera, pura, inattaccabile.

Stando così le cose, allora, la dimensione spaventosa del problema diviene quasi un colpo mortale per un sistema penale basato su garanzie democratiche.

È infatti il giudice che deve ricoprire il ruolo di soggetto imparziale. L’accusa e la difesa sono parti contrapposte in piena parità. Se si supera questa idea, allora avremo un giudice imparziale, che deve giudicare quale sia la verità, decidendo tra due voci, una delle quali è intesa come “voce della verità” (l’accusa) mentre l’altra non merita ascolto perché considerata “di parte” (la difesa) In un sistema così, non esistono garanzie processuali in grado di produrre effetti. Basta un’accusa per fondare la condanna, la ricerca delle prove diviene una formalità, il contraddittorio una finzione, la condanna una certezza e l’assoluzione un esito processuale sempre meno frequente.

Credevamo che questo modo di intendere la giustizia fosse ormai condiviso da larga parte della popolazione, quella parte che vede dell’assoluzione un fallimento del sistema giudiziario, ma eravamo convinti che almeno fra gli operatori di diritto, e in particolare tra quelli più illustri come i giudici della Cassazione, questa idea non potesse attecchire.

La sentenza 16458 / 2020 è una bomba atomica sganciata sul sistema penale italiano, perché dimostra che il populismo giudiziario è già penetrato nelle aule giudiziarie e vive nelle sentenze.

Noi non vogliamo rassegnarci a credere che un sistema giudiziario ben funzionante, consista nella piena coincidenza fra numero di processi e numero di condanne. Per questo dobbiamo agire ora o mai più, gli avversari hanno già passato le mura e dopo aver cinto d’assedio il Tribunale, ora vanno a conquistare le singole Aule

Francesco Caroli