Apologia del giornalista: se non è anti-potere, non è
BRINDISI – Ci sono mestieri che non si possono svolgere senza alcuni prerequisiti. Un giornalista, se non ha passione civile, deve cambiare mestiere. Il sistema vorrebbe i giornalisti come amanuensi, e bisogna ammettere che una buona fetta fa quello: l’amanuense. Ma un giornalista è altra cosa, deve avere ideali: diffidate dalla vulgata che lo vorrebbe mortificato, ristretto nei confini del cronista asettico. Sono scelte e narrazioni di comodo. Se così deve essere, non serve a niente. E forse proprio quello vuole il sistema: rendere inutile il ruolo del giornalista. Che se non fa da cane da guardia del potere, semplicemente non è.
Un giornalista che fa il suo dovere deve essere osteggiato dai poteri che controlla: che sia la Procura, che sia la politica, che siano enti, che siano sacche di illegalità.
Deve essere nemico di tutti e amico solo di quello in cui crede.
Non è facile, perché se ad esempio la ditta che gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti sponsorizza una testata, che magari non vanta grandi introiti, difficilmente quest’ultima denuncerà duramente un disservizio reso ai danni dei cittadini. E così via.
La società, però, ha assoluto bisogno del quarto potere: inteso come verbo, mai come sostantivo. Perché il giornalista nasce come anti-potere. Altrimenti non è.