Violenza di genere: i passi in avanti dello Stato e la necessità di un’educazione sentimentale
Sonia Di Maggio, 29 anni, originaria di Rimini, massacrata a coltellate dal suo ex a Minervino di Lecce. Roberta Siragusa, 17 anni, bruciata viva dal fidanzato diciannovenne in provincia di Palermo.
Vittime di femminicidio, termine sin troppo ricorrente nelle cronache nere e giudiziarie degli ultimi anni.
Se si leggesse attentamente il Dossier del Viminale per l’anno 2020 presentato lo scorso Ferragosto dalla ministra dell’interno, Luciana Lamorgese, si potrebbe addirittura parlare di un vero e proprio allarme legato agli omicidi “familiari”.
Dei 278 omicidi registrati su base annuale (1 agosto 2019 – 31 luglio 2020) più della metà sono stati commessi all’interno del nucleo familiare; ma a destare maggiore preoccupazione sono i dati legati al periodo del lockdown.
Negli 87 giorni di “chiusura forzata” per l’emergenza coronavirus (9 marzo – 3 giugno 2020) sono stati 58 gli omicidi in ambito familiare-affettivo: 44 vittime di sesso femminile (il 75,9%) e 14 di sesso maschile. In sostanza, durante il lockdown, ogni due giorni una donna è stata uccisa in famiglia.
Questa anomala recrudescenza dei femminicidi nel periodo in cui tutti noi siamo stati ristretti tra le mura domestiche, non può essere spiegata in maniera razionale. Qualsiasi tentativo risulterebbe irrisorio e rischierebbe di normalizzare un fenomeno del quale l’omicidio rappresenta solo l’ultimo anello di una escalation di vessazioni e aggressioni all’onore e alla reputazione di una persona, motivate dall’odio verso il genere di quest’ultima. Quando si parla di “violenza di genere”, infatti, ci si riferisce ad una lunga serie di crimini, in gran parte di recente creazione legislativa.
Iniziando dallo stalking – ovvero il reato di “atti persecutori” di cui all’art. 612-bis c.p. – esso è stato introdotto nel Codice penale con il D.L. 11/2009, in vigore dal 25 febbraio 2009, convertito dalla L. 38/2009. Dunque, soltanto dal 2009 si è potuto perseguire colui (o colei) – che minaccia o molesta un’altra persona al punto da cagionare alla stessa un grave stato di ansia o di paura ovvero ingenerare un timore per l’incolumità propria o dei propri “cari” ovvero costringere lo stesso a modificare le proprie abitudini. A titolo di esempio, “assillare” il proprio ex partner sui social o con infiniti messaggi su whatsapp, costituisce stalking.
Maggiormente significativa per il contrasto alla violenza di genere è stata, poi, la riforma del c.d. “Codice Rosso”, operata dalla legge n. 69/2019, in vigore dal 9 agosto 2019. Il legislatore è intervenuto, persuaso dall’enorme eco avuto dal caso di Tiziana Cantone, la ragazza di Napoli che, dopo la diffusione online contro la sua volontà di alcuni filmati hard di cui era protagonista, era stata oggetto di pesanti e continue offese e umiliazioni che l’avevano spinta al suicidio il 13 settembre 2016.
Con la riforma del Codice Rosso, il revenge porn, abominevole pratica consistente nel vendicarsi di qualcuno (spesso l’ex partner) diffondendo materiale a contenuto sessuale che lo ritrae, ha fatto ingresso nel Codice penale.
L’art 612-ter c.p., rubricato “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, al primo comma punisce chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza consenso delle persone rappresentate; il secondo comma, che prevede la fattispecie del revenge porn, punisce la condotta di chi, avendo ricevuto o acquisito le immagini e i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone raffigurate al fine di recare loro un danno.
La Legge 69 del 2019 ha introdotto altri reati, anch’essi emblematici: deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p); costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p.); violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (387-bis c.p.).
Ma non è tutto: a seguito della riforma, i delitti considerati “spia” delle varie degenerazioni in cui la violenza di genere può manifestarsi (ad es. violenza sessuale, lesioni personali, maltrattamenti in famiglia, oltre quelli già detti), usufruiscono di un percorso procedimentale preferenziale.
Trascorso più di un anno dall’entrata in vigore del “Codice Rosso” si può tentare di tracciare un primo bilancio, indecisi se guardare il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. L’elevato numero delle denunce presentate e l’altrettanta importante quantità dei processi pendenti per i reati di recente creazione legislativa, da un lato infonde fiducia nel constatare che questi fenomeni delittuosi finalmente saranno trattati innanzi l’Autorità giudiziaria, ma dall’altro spinge ad una riflessione.
La violenza di genere è ben lontana dall’essere sconfitta, se per essa si intende ogni forma di discriminazione, negazione della ragione e del rispetto che può concretizzarsi in miriadi di comportamenti con cui quotidianamente abbiamo a che fare. Questione di civiltà, prima ancora che di ordine pubblico: questa problematica richiede una crescita culturale della società che deve partire dall’educazione “sentimentale” delle nuove generazioni.
La parola d’ordine, ad ogni modo, è solo una: denunciare!
Perché il silenzio è l’alleato più forte di ogni tipo di violenza.
Avvocato Marco Della Rosa