Il paradosso Brindisi, nessuno scrive più editoriali: per ogni redazione in più, una penna o un microfono liberi in meno
BRINDISI – In questo territorio oramai nessun giornale propone più editoriali, nessuno prova più a spingersi oltre la fredda cronaca cimentandosi nell’interpretazione dei fatti per restituire all’opinione pubblica un minimo di dibattito politico e per sollecitare il senso critico dei cittadini.
Travaglio imputa la crisi dell’informazione alla massiccia presenza di editori impuri, ovvero quelli che hanno interessi economici differenti da quelli editoriali e che pertanto sono interessati maggiormente a utilizzare i media per fare pressioni o per silenziare determinate situazioni a causa del mantenimento di equilibri ‘particolari’.
Non sappiamo se sia così ma la sensazione è che in questa provincia la discesa nel campo dell’editoria dei padroncini dell’informazione sia (stata) direttamente proporzionale alla diminuzione della pluralità e incisività dell’informazione. Ogni volta che si è aperta una nuova redazione, al netto di elargire qualche stipendio che nel mondo giornalistico locale equivale a un miracolo, una penna o un microfono liberi (come la deontologia impone debbano essere) sono stati sottratti ai cittadini e trasformati in reggi microfono o reggi tastiera. D’altronde, tutti devono campare, e della passione per il proprio lavoro e del diritto dei cittadini di essere adeguatamente informati alla fine interessa fino a un certo punto; ccà nisciuno è fesso.
Un paradosso, quello che si è innescato a queste latitudini, che condiziona gravemente la qualità del confronto democratico e che mina le basi per una crescita della comunità fondata sulla consapevolezza.
Travaglio, nel suo “Bugiardi senza gloria”, spiega così il fenomeno: “In Italia il problema numero uno non è né la politica, né l’economia, né la giustizia: è l’informazione, che le condiziona tutte e ne impedisce il miglioramento, anzi ne agevola il degrado.
[…] condizionano la percezione della realtà, dunque l’opinione pubblica, quindi la politica, l’economia, la magistratura. I padroni dei giornali e delle tv non hanno nulla a che fare con gli editori, anche se si fanno chiamare così: usano i loro media come bastoni e carote. Bastoni per malmenare chi ostacola i loro interessi (in tutt’altri campi: quelli dei loro veri business). Carote per nutrire chi li asseconda e si mette al loro servizio.
Provate a immaginare come saremmo tutti migliori, più liberi di sapere, di ricordare e di votare, se qualcuno finalmente depurasse la fonte delle informazioni dai conflitti d’interessi di chi apre e chiude il rubinetto. Se la Rai non fosse dei partiti, ma dei cittadini che pagano il canone. Se Mediaset non fosse di Berlusconi, ma di un editore puro, magari straniero. E se i principali quotidiani e settimanali non fossero della Fiat-Fca, di Berlusconi, di Caltagirone, di De Benedetti, di Angelucci, di Romeo, della Confindustria, delle banche, delle assicurazioni, insomma del Partito degli Affari. Che, proprio perché possiede tv e giornali, continua a piazzare i suoi maggiordomi in Parlamento e al governo per conservare il potere e affossare ogni tentativo di cambiamento. O per cooptare e comprarsi chiunque intenda cambiare qualcosa.
[…] Puoi fare pressione, ingaggiare battaglie, solleticare l’opinione pubblica sui temi che stanno a cuore ai tuoi affari. Tacitare e silenziare le zone d’ombra dei tuoi business.
[…] Conta e tanto fare l’editore, a tal punto da sopportarne gli oneri, pur di fare da sponda agli affari veri dei padroni della stampa. È questo il filo rosso che collega tutti i signori dell’editoria impura”.