Con il “Contellum” torna in vita la “Balena bianca 2.0”
Ha ragione Zingaretti quando dice che essere riformisti, oggi, significa trovare il modo per attuare le proprie idee all’interno di un disegno unitario, senza limitarsi a sventolarle come una bandierina di mera testimonianza. Un chiaro riferimento al discorso di Renzi, che ha incentrato il suo intervento in Senato sulla forza delle idee e sulla necessità che non vengano cambiate pur di mantenere la stessa poltrona (citofonare al Premier). Sì, ma ad avercela un’idea di futuro. Eppure le idee, le visioni torneranno centrali, perché in un periodo di stravolgimenti e di incertezze i cittadini porranno alla politica sempre più domande afferenti le categorie esistenziali prima che economiche. E la politica prima o poi sarà chiamata ad assumersi la responsabilità di fornire quelle risposte che il neoliberismo stenta oramai a dare.
Per il momento, però, la politica italiana è ferma, immobile al qui e ora, e non sembra volersi schiodare da lì. Le promesse di Conte rivolte allo scibile politico (esclusi i sovranisti di cui lui era l’alfiere qualche mese fa), con un ritorno al proporzionale secco che ammicca al centro(destra), rappresentano un contrappasso per il M5S. Dopo anni di battaglie rivolte contro la peggiore politica, con questa “Operazione Centro” rischiano di far rientrare dalla finestra politici sbattuti fuori dalla porta. Ma questo non sembra creare particolare imbarazzo: tanto basta un veloce maquillage lessicale e Cesa e Tabacci diventano responsabili, Mastella un costruttore, Nencini un fine intellettuale. Tutti appassionatamente nel nuovo contenitore anemico di Conte. Una grande “balena bianca 2.0” che per non morire nella culla sarà innervata dal “Contellum”. Un ritorno al proporzionale che non consentirà agli elettori di capire chi governerà il Paese né prima delle elezioni, né il giorno dopo, e – stando a quanto visto in questi due anni e mezzo – nemmeno nel corso della legislatura.
In un momento in cui c’è bisogno di una forte spinta riformista richiesta anche dall’Europa, garantire la governabilità dovrebbe rappresentare la precondizione necessaria e sufficiente. Ma evidentemente, come predicava l’ispiratore di Conte, il divino Giulio, meglio tirare a campare che tirare le cuoia. E chissenefrega se questa mossa rappresenta quanto di più disfunzionale (ai bisogni del Paese, non certo ai bisogni di Conte, PD e M5S) ci sia in questo momento. Perché? La risposta l’ha fornita Geremicca ieri su La Stampa: “Nel 1993 gli italiani accorsero alle urne per un referendum che, nella sostanza, archiviava il quasi cinquantennale sistema di voto proporzionale aprendo la via al cosiddetto maggioritario. Due anni prima, con un altro referendum, i cittadini avevano cancellato la possibilità di esprimere preferenze multiple, che una generale degenerazione del sistema aveva trasformato in un incontrollabile fattore di corruzione. […] È singolare dover notare come si siano rimossi i danni determinati dal sistema proporzionale e dall’abuso delle preferenze a partire dall’avvio degli anni ’80. Danni politici, legati al continuo cambiare di governi e premier e danni perfino etici prodotti da un continuo mercato delle preferenze. […] A fronte dei mille problemi che sono in campo, l’unica certezza di ieri è che i giallorossi lavorano per un ritorno al proporzionale: guerre di preferenze e cittadini che non potranno più scegliere né governo né premier. Se c’era un modo per ampliare la distanza tra città della politica e paese, questo è perfetto”.
In questo scenario, a combattere si ritroveranno soprattutto le fodere, mentre le spade (Calenda, Renzi, Bonino) rimarranno appese. Anche per loro scelta.