Home Economia e lavoro Porto Report Intesa San Paolo: “I porti hanno bisogno di dragaggi e banchine”. A Brindisi che vogliamo fare?
Report Intesa San Paolo: “I porti hanno bisogno di dragaggi e banchine”. A Brindisi che vogliamo fare?
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Report Intesa San Paolo: “I porti hanno bisogno di dragaggi e banchine”. A Brindisi che vogliamo fare?

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BRINDISI – Il report di Intesa San Paolo è chiaro: “L’aumento delle dimensioni delle navi si spiega con la continua ricerca di economie di scala e con l’esigenza di razionalizzazione delle rotte. Il fenomeno sta già portando ad un processo di selezione dei porti che va a privilegiare quelli più grandi e digitalizzati. Per restare al passo, dunque, l’Italia dovrà realizzare investimenti in dragaggi, banchine, tecnologie di imbarco e sbarco, gru di nuova generazione, formazione negli equipaggi”.

Per avere qualche possibilità di sviluppo, dunque, Brindisi e il suo porto hanno bisogno di infrastrutturarsi per farsi trovare pronti alla nuova era, pena una marginalizzazione per i prossimi decenni affogata nei soliti, insopportabili deliri paranoici da sindrome di Calimero.

Da queste parti, però, sembra averlo compreso la sola Autorità portuale, che combatte le sue battaglie contro la burocrazia e le scelte politiche in totale solitudine, vedendosi anzi di sovente avversata da pezzi della città la realizzazione di alcune opere di vitale importanza.

Per intenderci: difficilmente la realizzazione della vasca di colmata avrebbe scontato cospicui ritardi e copiose prescrizioni se il Comune non avesse sollevato una quantità industriale di osservazioni, per la gran parte ritenute poi non rilevanti dalla Commissione Via.

Tuttavia il problema non è rappresentato solo da Comuni e Regioni: è proprio il sistema Italia che non funziona. E capita allora di assistere all’iter di un’opera portuale strategica fermo al palo sine die in attesa che anche la Soprintendenza possa dare il proprio assenso, seppure ci azzecchi poco quanto niente in queste vicende. Capite bene che così diventa impossibile.

La sensazione è che il problema sia di natura politica prim’ancora che burocratica, perché è necessario preliminarmente decidersi su cosa debbano diventare i porti e le infrastrutture in generale: propulsori di sviluppo economico o aree protette per la nidificazione degli uccelli? Perché se l’infrastrutturazione e l’adeguamento di un porto alle esigenze dell’economia mondiale devono essere intesi come casi di cementificazione selvaggia, allora lo si dica chiaramente così da evitare all’Autorità portuale di presentare progetti da finanziare nell’ambito del Next Generation UE, quali ad esempio il banchinamento di Capobianco. Cosa vogliamo per le prossime generazioni? Chiediamocelo e diamoci una riposta chiara una volta per tutte.