Stato che perde paga. Principio semplice che adesso entra anche nel processo penale. Con tanto di posta in bilancio di 8 milioni di euro all’anno, per un rimborso che però non potrà superare i 10.500 euro. Ma vale il principio che, fino a oggi, era previsto solo per i riti civile e amministrativo.
La proposta passata in commissione alla Camera nella maratona del Bilancio è – non a caso – del deputato di Azione Enrico Costa (potere dei riformisti!), ma il governo, con il Guardasigilli Alfonso Bonafede, l’ha fatta sua con qualche modifica minima all’emendamento originario.
Il principio è semplice. Un nuovo articolo del codice penale, il 177bis, seguirà il 177 che riguarda la revoca della liberazione condizionale o l’estinzione della pena, e sarà titolato così: “Rimborso spese legali per gli imputati con sentenza penale divenuta irrevocabile”. È già tutta qui la ratio della nuova norma. Il cui primo articolo spiega il contenuto: “Nel processo penale, all’imputato assolto con sentenza divenuta irrevocabile perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, è riconosciuto un rimborso delle spese legali nel limite massimo di importo pari a 10.500 euro”.
Secondo Costa – che da mesi sta dietro alla proposta di legge e che ha avuto più di un’interlocuzione con il ministro della Giustizia Bonafede, il quale ha dato il via libera alla norma – la norma ristabilisce un equilibrio e inserisce nel processo penale “il principio della soccombenza” già riconosciuto nei riti civile e amministrativo. Quello per cui “se il cittadino è riuscito a dimostrare la propria assoluta estraneità al reato o, addirittura, l’insussistenza di qualunque fatto di rilevanza penale” ha diritto di avere di fronte uno Stato che gli riconosce il rimborso. La stessa regola vale ancor più se “lo Stato ha esercitato erroneamente la propria pretesa punitiva, sottoponendo senza ragione la persona al lungo, defatigante e spesso umiliante calvario delle indagini e del processo”. Costa cita, in proposito, la definizione data da Salvatore Satta per cui “il processo è esso stesso la pena”.
Il deputato di Azione, ex sottosegretario alla Giustizia con Orlando Guardasigilli e poi ministro degli Affari regionali, cita anche la sentenza 135 del 1987 della Consulta in cui è scritto: “È giusto, secondo un principio di responsabilità, che chi è risultato essere nel torto si faccia carico, di norma, anche delle spese di lite, delle quali invece debba essere ristorata la parte vittoriosa”. Quindi “il costo del processo deve essere supportato da chi ha reso necessaria l’attività del giudice e ha occasionato le spese del suo svolgimento”.
Da tempo la Germania paga le spese difensive all’imputato che, assolto con formula piena, non abbia ostacolato o ritardato il giudizio; e altri Paesi hanno affrontato i «danni da attività processuale», tema nel 2017 di uno studio (che pareva fantascienza quando qui se ne era trattato) del professore Giorgio Spangher con 5 università di Roma, Salerno, Palermo, Foggia e Bari. Adesso, finalmente, anche l’Italia si fa irraggiare da questo barlume di civilità.