BRINDISI – Anche a noi statistici capita a volte di essere in disaccordo e di discutere vivacemente, dando magari significati diversi – oppure differente enfasi – al valore ottenuto. Abbiamo, in ogni caso, dei termini di paragone invalicabili: possiamo tirare la coperta quanto vogliamo, ma, alla fin fine, le quattro operazioni fondamentali dovranno pur sempre dare il medesimo risultato.
Cosa che, invece, dobbiamo constatarlo amaramente, non avviene tra i virologi, quando parlano dell’oggetto della nostra ossessione, vale a dire il temuto Covid-19, malattia che ha fatto prepotente ingresso ormai da mesi nelle nostre case.
Più che a discussioni, si assiste a dei veri e propri scontri. Ad un muro contro muro che non ha come obiettivo quello di arrivare a capirci qualcosa, quanto piuttosto ad avere più banalmente ragione. Dopo nove mesi di parole, alzi la mano chi ha oggi le idee meno confuse sull’epidemia, rispetto a quando ne siamo venuti per la prima volta a conoscenza. Di fronte ad un problema globale si finisce per dare risposte parziali e specifiche, che di fatto non affrontano il problema nella sua complessità. Oppure ci affidiamo a panacee di comodo inventate lì per lì – una per tutte quella dei banchi a rotelle, utilissimi ad avvicinare, ma inutili, se non controproducenti, se si vuole distanziare.
Comunque sia, il tema è caldo, e consente spicchi di notorietà, e la cosa più curiosa è che più la si spara grossa, più si diventa famosi.
Pensate agli illustri personaggi che hanno preso fischi per fiaschi. Proprio perché sbugiardati dalla realtà sono diventati quasi più famosi di Ronaldo e Messi.
Nei meccanismi complessi – e sempre più misteriosi – con cui abbiamo a che fare, c’è anche questo su cui forse indagare: se l’azzecchi, hai una notorietà che dura lo spazio del momento; se prendi una cantonata molto significativa, raggiungi, se non proprio l’eternità, ben più duratura fama.
Sarà per questo che si gioca sempre più al rialzo.
Qualche giorno fa un importante personaggio dell’apparato istituzionale suggeriva di prendere tempo su una eventuale decisione di lockdown delle strutture produttive, magari indagando prima su possibili chiusure differenziate. Ed in queste, si collocava la possibilità di “separare” gli anziani. Lo diceva con un certo disagio, anche perché fa parte della compagine politica, almeno in teoria, più sensibile al destino dei deboli.
Ma à la guerre comme à la guerre: tutto va accettato per interessi superiori, anche il sacrificio di una parte della popolazione. Ciò rilevato, il noto politico non diceva nulla di nuovo ma finiva per riprendere una soluzione che fa sempre più proseliti.
Come al solito tutto è nato con le migliori intenzioni di questo mondo – proteggere i più deboli – l’evoluzione, però, gli sta facendo cambiare rotta.
Radicalizzando, si potrebbe dire che l’iniziale “protezione” sta sempre più assumendo le sembianze d’una quasi emarginazione, da perseguire a tutti i costi.
Così l’invito ragionevole ad esentare gli anziani da certe incombenze quotidiane, tipo, la spesa, da delegare piuttosto ai giovani della famiglia, sta diventando un divieto ad entrare nei supermercati oppure ad occupare le strade. In conclusione, se non proprio un ghetto, qualcosa di simile è ormai scritto nel loro futuro.
Naturalmente il discorso non è nudo e crudo come lo metto giù io. È molto meno naif, e più sofisticato. Non per nulla si appoggia pure alla scienza.
L’analisi dei dati sui decessi per Covid -19 delinea un aspetto evidente: chi appartiene alle fasce di età più avanzata ha maggiori probabilità di non farcela, se colpito dalla malattia. Da qui scatta l’operazione che vuole “separare” queste categorie più deboli isolandole in un qualche modo dal resto del mondo.
Senza entrare nei particolari tecnici delle varie proposte fatte, soffermiamoci su quegli studi che hanno attirato le maggiori attenzioni.
Iniziamo con il pregevole lavoro dei professori Favero, Ichino e Rustichini i quali, partendo dal dato incontestabile dei maggiori rischi corsi dagli anziani rispetto alle fasce in età lavorativa, scolare e prescolare, suggeriscono l’isolamento degli anziani stessi in strutture attrezzate con adeguati servizi di assistenza. Allo scopo propongono l’utilizzo dei numerosi alberghi, attualmente vuoti, e dei ristoranti, ora senza clienti. In questo modo si prenderebbero due piccioni con una fava: ridurre il contagio che potrebbe colpire gli anziani e, al tempo stesso, sovvenzionare il settore turistico, strategico per il nostro Paese.
In definitiva, per scongiurare un nuovo lockdown, poco sopportabile da un punto di vista economico e psicologico, i tre economisti invitano esplicitamente il governo a rendere obbligatoria, quando possibile, la separazione tra giovani e anziani. Solo così, a loro avviso, il Paese potrà sopravvivere, “salvando il tessuto produttivo e al tempo stesso proteggendo l’unica parte della popolazione che davvero corre rischi rilevanti per via del Covid-19: gli ultra-50enni” (si veda “Separare giovani e anziani per scongiurare il lockdown”, sito de Il Foglio, ilfoglio.it/economia/).
L’interesse del Paese, prima di tutto. Concordo. Però i tre illustri economisti dimenticano quattro aspetti in effetti sostanziali.
1) Il messaggio, secondo il quale, l’epidemia falcia i nonni e lascia indisturbati i giovani è, da un punto di vista statistico, una balla colossale. Basterebbe dare un’occhiata ai dati Istat degli anni scorsi per accorgersi che la mortalità causata dal Covid -19 è simile a qualsiasi altra causa di morte. In altre parole, la percentuale dei nonni che non ce l’hanno fatta in questo ambito è del tutto simile a quella che non ce la fa per qualsiasi altra malattia.
2) Concentrare persone fragili potrebbe avere lo stesso effetto che si è avuto con le residenze sanitarie assistenziali, vale a dire aumentare la mortalità, invece di farla diminuire.
3) Lo stress sul sistema ospedaliero non deriva da chi soccombe alla malattia con più facilità ma da chi occupa le corsie ospedaliere per più tempo. Pertanto il fatto che il 90% dei morti per Covid-19 abbiano più di 50 anni, non vuol dire che questa categoria occupa i reparti di terapia intensiva per il 90%, come ipotizzano gli autori. Avessimo dati statistici su questo argomento, forse scopriremmo che sono i più coriacei ad averle utilizzate in prevalenza.
4) In Italia gli ultra-50enni sono il 44,70% della popolazione totale. Non so immaginare quanti alberghi e personale servano per poterli isolare in maniera adeguata.
Sempre nell’ottica di minimizzare i costi economici dell’epidemia, s’è inserito un lavoro dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (si veda nel sito dell’Ispi ispionline.it/it/pubblicazione/) il quale ipotizza un lockdown selettivo per classi d’età.
Anche questo studio parte dalla statistica relativa alla mortalità per Covid-19 la quale rende noto che più dell’98% dei morti fa parte della fascia d’età oltre i 50 anni e da un report della regione Lombardia il quale, per uno specifico e limitatissimo periodo, riscontra che le terapie intensive furono occupate per la loro metà da persone con più di 63 anni.
In base a calcoli – che vi risparmio, anche perché rimasti nei passaggi cruciali nella penna dell’autore – si afferma che, senza isolamento, sarebbe destinato a soccombere lo 0,76% della popolazione; isolando gli ultra-80enni lo 0,39% (quindi quasi la metà); isolando gli ultra-70enni lo 0,2 e così di seguito tanto da arrivare allo 0,02%, se l’isolamento interessasse tutti gli ultra-50enni. In definitiva, con questa soluzione si potrebbero salvare dal 50 al 98% delle persone che, in caso contrario, sarebbero destinate a morire a seguito della pandemia.
Quale questa miracolosa soluzione?
Appunto l’isolamento selettivo degli anziani, questa volta però non concentrato negli alberghi ma “diffuso” sul territorio. In altre parole nella propria abitazione.
Ora se rileggete il tutto, vi accorgerete che, le statistiche ufficiali consentono di ricavare che il 98% dei morti per Covid-19 fa parte della fascia d’età oltre i 50 anni; lo studio Ispi ipotizza che attuando un isolamento “selettivo e diffuso” della stessa classe d’età, si salverebbe il 98% delle persone, destinate al contrario a morire.
Come si può notare, si parla sempre della stessa quota del 98%. Detta in altri termini, la stessa percentuale di ultra-50enni sinora morti per l’epidemia, si salveranno, non si sa come, nelle cosiddetta seconda ondata, grazie alla salvifica bacchetta magica costituita dal segregare in casa gli anziani.
In definitiva sarà sufficiente metterli ben bene appartati, magari in soffitta, perché non se ne contagi neppure uno.
A questo punto, viene alla mente il professor Brusaferro, quando raccontava che i morti per Covid-19 avevano dalle 3 alle 4 patologie pregresse, facendo capire che, in pratica, erano destinati ad abbandonarci di lì a poco, a prescindere dall’infezione. Scopriamo ora che, sarebbe bastato un isolamento “selettivo e diffuso” per renderli arzilli e forti. Tetragoni anche al peggior colpo della ria sorte.
Ebbene, da un punto di vista statistico, diffidavo delle parole del professor Brusaferro, che utilizzava un campione non rappresentativo della popolazione (si veda sulla questione fondazioneterradotranto.it/2020/04/22/coronavirus-le-storie-dellorso/), ma ancor più mi lascia perplesso lo studio Ispi, che usa un campione ancor meno impiegabile per trarre conclusioni dotate d’un minimo d’affidabilità.
D’accordo che si debbano indagare strategie diverse del lockdown totale, per minimizzare i costi dell’epidemia, e che, allo stesso modo, vada cercata ogni via per limitare la pressione sul sistema sanitario. In questa ottica, tutto può essere messo in discussione e valutato, anche la proposta più imbarazzante
Però non credo che lo stressare i numeri possa portare a risultati davvero utili.
Salvo forse ai superiori interessi.
Ai quali anche i numeri – se del caso – debbono piegarsi.
Nazareno Valente, Statistico