Gli ambientalisti brindisini chiedono a Conte la stessa attenzione riservata per Taranto
BRINDISI – Di seguito la lettera inviata al premier Giuseppe Conte, e per conoscenza anche al presidente della Regione, Michele Emiliano, e al sindaco di Brindisi, Riccardo Rossi, firmata dalle associazioni ambientaliste territoriali Forum Ambiente Salute e Sviluppo, ISDE, Italia Nostra, Legambiente, No al Carbone, WWF, Fondazione “Tonino Di Giulio”
Egregio Presidente,
recentemente studi internazionali e nazionali, fra i quali quelli condotti dalla Fondazione CMCC (Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici finanziata dal MIBACT e dal MATT), hanno presentato bilanci e scenari previsionali allarmanti sugli effetti dei mutamenti climatici e lo European Data Journalism Network, su iniziativa dello Stop Global Warming EU, ha in particolare conteggiato quale è stato l’aumento di temperatura in Europa ed in Italia dal 1960 ad oggi e, purtroppo, Brindisi è risultata la città italiana con il più alto incremento (+3.12°C).
Come ben sa, Brindisi e Taranto sono l’emblema di quella industrializzazione nel Meridione ben descritta da Scalfari e Turani nel loro libro “Razza padrona”: è stata un’industrializzazione che ha prodotto significativamente posti di lavoro, ma anche un profondo inquinamento dell’ambiente e delle coscienze di cui abbiamo pagato e stiamo pagando le conseguenze in termini di crescenti danni ambientali e mutamenti climatici, di patologie degenerative ed anche letali, con crescenti costi economici.
Negli ultimi tempi, forse per un salutare senso di colpa, è cresciuta l’attenzione verso Taranto a lungo dimenticata malgrado una situazione ambientale e sanitaria gravissima.
La così detta decarbonizzazione del siderurgico è il minore dei mali per coniugare la tutela dei posti di lavoro con l’innovazione tecnologica, ma parallelamente ingenti sono gli investimenti per la rigenerazione della città e del suo territorio.
Brindisi non a caso risulta la città con più alto incremento della temperatura in Italia dal 1960, da quando cioè hanno cominciato ad insediarsi il polo petrolchimico e, quindi , quello energetico.
Il sopracitato libro “Razza padrona” ben descrive la nascita del petrolchimico, l’enorme drenaggio di fondi pubblici e la scelta del territorio in ragione dello sbocco sul mare, del costo relativo dei terreni e della facile capacità di ottenere consenso a livello politico e sociale.
Sia il polo chimico che quello energetico erano costituiti da impianti tecnologicamente sempre meno competitivi (tanto è vero che Dow Chemical e EWC hanno potuto tranquillamente abbandonare il petrolchimico senza tutelarne i lavoratori ed assumere l’onere delle bonifiche ed Enel non ha minimamente rispettato la convenzione stipulata nel 1996).
Il piano di risanamento dell’area ad elevato rischio di crisi ambientale, di cui la convenzione sul polo energetico era punto centrale, è stato approvato con DPR dell’Aprile 1998, ma è stato in gran parte disatteso perfino per gli interventi di priorità 1 immediatamente ammissibili a finanziamento.
Brindisi è stata inserita fra i primi siti di interesse nazionale (SIN) ai fini delle bonifiche, ma a circa venti anni dal riconoscimento, i piani di bonifica sono stati realizzati in piccola parte ed assistiamo a gravi inadempienze o lacune, come è dimostrato dall’ assurda decisione di vietare l’installazione di impianti da fonti energetiche rinnovabili laddove si consente di realizzare, con procedure per nulla partecipate, il metanodotto SNAM o dall’incredibile vicenda della bonifica della discarica Micorosa con fondi pubblici e non delle imprese del petrolchimico e con l’assegnazione assurda dell’appalto con il 74% di ribasso ad un consorzio di imprese dimostratosi inaffidabile a cui è stato revocato l’assegnamento dei lavori con conseguenti ulteriori crescenti rischi ambientali.
E’ in questo contesto che è più che logico avere il rialzo della temperatura di +3.12°C dal 1960 ad oggi ed è in questo contesto che assistiamo ai frequentissimi “incidenti” nel petrolchimico, quali quelli che provocano blackout ingiustificabili e ricorso altrettanto ingiustificabile agli ossidatori termici e alle “torce”.
E’ anche in questo che si colloca la lunga “storia sbagliata” del Polo Energetico ed il tentativo di A2A di riportare in vita la vecchia centrale termoelettrica Brindisi Nord, ferma dal 2012, oltre alla presunta “decarbonizzazione” che ENEL vorrebbe realizzare chiudendo entro il 2025 la centrale Brindisi Sud alimentata a carbone, per sostituirla con un nuovo impianto a turbogas che incrementerebbe l’emissione di fumi climalteranti, l’occupazione di suolo sempre più a ridosso della falesia e l’impatto ambientale e sanitario: è appena il caso di sottolineare che la politica “carbon free” non è traducibile semplicisticamente in scelte “coal free” (tradotto dall’ inglese coal: carbone) ma nell’uscita dalla combustione del carbonio. Incredibile sarebbe approvare la localizzazione di un deposito costiero di GNL in un’area del porto di Brindisi da sviluppare dal punto di vista commerciale perdipiù senza procedure di VIA nazionale solo perché Edison furbescamente ha indicato la capacità di stoccaggio in 19950 litri appena al di sotto dei 20.000 litri che prescrivono il ricorso alla VIA. Le grandi imprese energetiche italiane cercano di accaparrarsi i finanziamenti del “capacity market”, quelli del “just transition fund” da destinare invece alle fonti rinnovabili ed all’efficientamento energetico e quelli rientranti nei 209MLD da attivare con il “recovery plan”.
A quando, quindi, il vero Green New Deal per Brindisi?
Apprezziamo gli impegni che si continuano ad assumere per Taranto ma attendiamo un cambio di rotta per Brindisi anche a partire da un, ridiscusso in base, alle nuove linee europee di riconversione ecologica, contratto istituzionale di sviluppo (CIS) attualmente in stand-by.
Un nuovo piano energetico per Brindisi ed una progressiva riconversione del petrolchimico verso linee produttive eco-compatibili e verdi sono la conditio sine qua non per un effettivo green new deal.
Brindisi, fra l’altro ha in esercizio un impianto a turbo gas da 1170 MW di ENI Power, nel petrolchimico ed ENEL da tempo chiediamo che sia parte essenziale di un processo di rigenerazione dell’area che va dal petrolchimico alla centrale termo elettrica Brindisi Sud, con investimenti a favore di un impianto solare termodinamico, di un impianto di produzione di energia elettrica ed idrogeno, di impianti fotovoltaici con accumulo grazie ad una filiera che parta dal recupero e dalla produzione di batterie ed anche di colonnine per l’uso civile, di un vero e proprio hub della ricerca sulle fonti rinnovabili, di una cittadella per lo sviluppo sostenibile che sia un percorso didattico, formativo espositivo e di sostegno per idee ed imprese innovative.
Brindisi merita un vero “risarcimento” per quanto non finanziato e non realizzato per il risanamento e la bonifica del suo territorio e merita di lasciarsi alle spalle visioni colonialistiche ed utilitaristiche che sottendono anche gli ultimi progetti presentati quali quello di ENEL.
Brindisi non deve rinnegare la presenza industriale, ma essa deve rispondere in termini qualitativi ed innovativi, a ciò che realmente è il Green New Deal, per cui le chiediamo di aprire un confronto realmente ad alto valore aggiunto, a partire anche dall’insediamento del tavolo per la giusta transizione, previsto dall’ Unione Europea, che abbia come fondamento la valorizzazione delle risorse autoctone (un porto naturale di straordinarie potenzialità fino ad oggi mortificate al servizio del carbone e di grandi opere; un aeroporto che deve continuare, potenziando infrastrutture e servizi ad essere il riferimento per tutto il Salento; infrastrutture ferroviarie che consentano realmente la mobilità di uomini e merci con Alta Velocità e che connetta porto città ed aeroporto; un’area industriale da rigenerare applicando i criteri organizzativi e gli obiettivi di sostenibilità delle “aree produttive ecologicamente attrezzate” investimenti su una filiera agricola da salvaguardare ed anche da innovare e sulle valenze culturali e turistiche oggi prive dei finanziamenti che le rendano sempre più attrattive; sostegno e potenziamento delle discipline universitarie dei centri di ricerca che sappiano fare di Brindisi quel riferimento per il Mediterraneo che anche la presenza della base ONU dovrebbe stimolare).
Ci auguriamo che voglia accogliere l’invito ad aprire questo confronto, anche grazie ad una visita a Brindisi in cui saremmo pronti a fornirle dettagli propositivi e ad accompagnarLa in una visita in città, fermo restando che l’eventuale accoglimento di progetti quali quello del nuovo impianto ENEL sarebbero la negazione del Green New Deal e degli impegni del Suo governo per la riconversione ecologica in Italia e soprattutto in una realtà così martoriata del Sud.