Home Cultura Estate brindisina: un ingorgo d’interessi tra cassa integrazione e cachet ‘elevati’
Estate brindisina: un ingorgo d’interessi tra cassa integrazione e cachet ‘elevati’
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Estate brindisina: un ingorgo d’interessi tra cassa integrazione e cachet ‘elevati’

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BRINDISI – Il Sindaco ha provato a stemperare le polemiche montate sull’estate brindisina convocando per ieri pomeriggio a Palazzo di Città i 33 artisti “esclusi” e aprendo alla possibilità di ricavare alcune date nella quali consentirgli di esibirsi. Tuttavia gli artisti, riuniti sotto il coordinamento dell’associazione Il Curro, hanno preferito declinare l’invito del Sindaco, ritenuto tardivo.

Con il passare delle ore, come spesso accade, stanno emergendo ulteriori dettagli. Parrebbe infatti che parte di questi 33 musicisti rientrasse nel gruppo di artisti che ha presentato la proposta artistica originaria poi accolta dal Comune per il tramite della Fondazione Nuovo Teatro Verdi. Cosa sarebbe accaduto poi? Stando a quanto appreso, non tutti gli artisti sarebbero stati concordi nell’abbassare le proprie pretese economiche, così sarebbe avvenuta una “selezione naturale”, compulsata dalla Fondazione, la quale aveva l’esigenza di approntare un programma di eventi con soli 42.000 euro a disposizione.

Ed anche su questa cifra, che rinviene dall’avanzo di amministrazione 2019 prodotto dalla Fondazione e che ha consentito al Comune di mettere in piedi uno straccio di programma di eventi estivi, sono scoppiate accese polemiche. A soffiare sul fuoco sono stati in particolare Quarta, Loiacono, Lo Martire e Oggiano, che hanno contestato l’affidamento diretto dell’organizzazione dell’estate brindisina a due associazioni, la preliminare assenza di un avviso pubblico per raccogliere le varie proposte e in particolare – a loro dire – l’impoprio utilizzo dell’avanzo di bilancio per l’organizzazione del cartellone estivo.

Questa vicenda, insomma, mette nuovamente sotto la lente il ruolo del quale il Comune ha inteso investire la Fondazione. Un ruolo scomodo, che andrebbe forse riconsiderato, sia per il costo che assume la Fondazione per le casse del Comune che per gli equivoci e le polemiche che ne scaturiscono. Un tentativo di privatizzazione, come diciamo da tempo, andrebbe perlomeno esplorato.

Tra l’altro, con l’avvento del Covid il personale dipendente della partecipata del Comune è stato messo in cassa integrazione per due mesi. Una mossa che non tutti si aspettavano all’interno della Fondazione: il Comune, infatti, ha deciso di delegare gli aspetti organizzativi direttamente ai proponenti del progetto “Made in Brindisi”, di fatto esautorando in questo caso il compito della Fondazione, così giustificando la cassa integrazione dei dipendenti e il conseguente risparmio per le casse del Comune.

In un momento difficile per il bilancio dell’ente comunale, infatti, sgravarsi del peso di stipendi del personale della Fondazione che arrivano fino a 3.000 euro per chi ricopre ruoli “apicali” non è aspetto marginale. E forse andrebbe aperto anche un capitolo sulle cifre che girano all’interno della partecipata, così come di tutte le partecipate del Comune. Cifre che portarono ad esempio al licenziamento della manager Daniela Angelini, la quale non accettò la proposta di decurtazione salariale. Ma questa è un’altra storia…