Home Cultura Quanto è grave questa nuova malattia? L’approfondimento di Lorenzo Coccioli, brindisino a Londra
Quanto è grave questa nuova malattia? L’approfondimento di Lorenzo Coccioli, brindisino a Londra
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Quanto è grave questa nuova malattia? L’approfondimento di Lorenzo Coccioli, brindisino a Londra

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Questo articolo è una traduzione (con qualche aggiunta) di un articolo pubblicato in lingua inglese su questo link:
http://substantialupgrades.com/the-gridlock-of-covid-19-we-are-nowhere-near-establishing-the-severity-of-the-disease/

Ero indeciso se scrivere un articolo che provasse a fare un po’ di ordine su quello che sappiamo (ma soprattutto quello che non sappiamo) riguardo il COVID-19. Non sono un esperto in materia e mi sembrava arrogante scrivere di tematiche che non rientrano tra le mie strette competenze. Poi ho letto questo articolo de “La Repubblica” e non ci ho visto più.
Questi ‘giornalisti’ si sono letti uno studio accademico sulle prime catene di contagio avvenute in un’azienda tedesca a seguito di contatti con una persona infetta proveniente da Wuhan. A “La Repubblica” sono stati capaci di trasformare uno degli studi che avevo trovato tra i più tranquilizzanti sulla contagiosità del virus in un titolo demenziale e fuorviante “Mi passi il sale?”. Cronaca di un contagio impossibile in una mensa di Monaco”. La scoperta più interessante di questo studio è che i tassi di attacco (ovverosia le probabilità di contagio a seguito di un contatto) sono solo del 5% tra i contatti non domestici ad alto rischio, laddove alto rischio è definito come stretto contatto per più di 30 minuti con una persona infetta. Inoltre, lo studio ha rivelato ZERO contagi per i contatti a basso rischio, come ad esemprio una breve chiacchierata con una persona infetta o essere in un ascensore con una persona infetta.
A questo punto un vero giornalista si sarebbe dovuto concentrate sulle limitazioni dello studio stesso che gli stessi ricercatori hanno propriamente descritto: questa catena di contagio non è rappresentativa di un caso tipico perché gli infetti sono stati quarantinati quasi immediatamente dopo l’apparizione dei primi sintomi, non avendo così modo di infettare più persone, andando per esempio a tossire in ufficio. Se proprio un giornalista avesse voluto aggiungere qualcosa di suo, avrebbe potuto far notare come questo studio mostra che qualora le persone paucisintomatiche si isolassero immediatemente molti dei contagi da coronavirus potrebbero essere scongiurati. E invece no, hanno scritto un articolo su una frase incidentale dello studio che indicava una possibile ipotesi di modalità del contagio per l’unico contagio (su più di 100) per cui i ricercatori non abbiano individuato una modalità certa. Francamente, un’ipotesi migliore è che i due colleghi infetti avessero una tresca e non lo siano andati a sbandierare durante le interviste per questa ricerca.
Inviperito da tale opacità informativa mi sono deciso a cimentarmi in un piccolo compendio degli studi più interessanti che ho letto recentemente sulle domande più pressanti che la comunità scientifica si sta ponendo riguardo a questa pandemia: Quanto è grave questa nuova malattia? Qual è il suo tasso di mortalità effettivo? Qual è la velocità effettiva del contagio? Rispondere a tutte queste domande è fondamentale nello sviluppo della strategia di uscita globale per la crisi. Eppure, siamo ancora lontani dall’ottenere risposte inequivocabili a queste domande

Giovani e forti vuol dire sicuri?
Aneddoti proliferano in tutto il mondo riguardo il fatto che questo virus può uccidere chiunque, anche giovani senza noti precedenti problemi di salute dove l’enfasi sui “noti” è abbastanza importante dato che in alcuni Paesi del mondo la popolazione giovane ha spesso malattie croniche non diagnosticate. Siamo ancora lontani dal capire perché alcuni individui sembrano reagire così male a un’infezione che per la maggior parte delle persone (e indipendentemente dall’età) è solo un raffreddore comune.
Stiamo anche ottenendo prove contrastanti su quale percentuale della popolazione giovane richiede il ricovero in seguito a infezione da COVID. Questa percentuale sembra essere molto bassa in Italia, dove il tasso di mortalità tra gli infetti comprovati (CFR, dall’inglese Case Fatality Rate) è dello 0,9% nell’intervallo 40-49 anni, 0,4% nell’intervallo 30-39 e 0,1% sotto 29 anni.
Una delle poche altre regioni del mondo che ha un numero considerevole di casi e riporta dati giornalieri è New York City. Nei cinque distretti di New York il CFR nella fascia di età 18-44 anni è attualmente dello 0,7%, già più alto dell’Italia e che probabilmente continuerà ad aumentare a causa del ritardo tra infezione del paziente e morte dello stesso. Uno studio recente ha scoperto che il rischio assoluto di morte per COVID-19 varia dall’1,7 per milione per le persone di età inferiore ai 65 anni in Germania al 79 per milione a New York City. Tuttavia, questi risultati possono essere influenzati dalle capacità di test dei due paesi poiché i casi più lievi negli Stati Uniti sono probabilmente trascurati a causa del numero molto limitato di test condotti nel paese. Poichè i giovani mostrano sintomi più lievi, è meno probabile che vengano sottoposti a test. Il tasso di mortalità per quel gruppo demografico è quindi probabilmente sopravvalutato nei paesi con bassa capacità di test.
Una delle altre possibili spiegazioni per il più alto CFR riscontrato a New York è che i giovani negli Stati Uniti sono meno sani dei giovani in Italia poiché gli americani hanno una popolazione obesa più ampia e una disparità molto maggiore nel livello di assistenza sanitaria ricevuta a seconda dello stato sociale. Pertanto, mentre i giovani italiani vengono diagnosticati e curati per le loro malattia croniche, i giovani americani a basso reddito non vengono diagnosticati. Di conseguenza malattie come il diabete o ipertensione non solo sono più diffuse ma non sono neanche curate adeguatamente. Questo, tra l’altro, spiegherebbe anche perché le minoranze etniche sembrano essere più colpite dal COVID-19, sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito. Molto probabilmente la correlazione non è di natura genetica ma è tristemente dovuta ai bassi livelli di reddito e assistenza.
Un calcolo semplicistico proposto dall’Università di Gottinga mostra che solo il 6% dei casi in tutto il mondo sono stati rilevati dai test. Se questa stima è anche lontanamente accurata, possiamo davvero trarre delle conclusioni sul tasso di mortalità della popolazione a basso rischio? Le popolazioni a basso rischio hanno meno probabilità di essere conteggiate nel denominatore del CFR e anche più probabilità di essere contate nel numeratore perché non vengono abbandonate a morire a casa come molti anziani nelle regioni in cui i sistemi sanitari sono crollati (vedi Bergamo o Madrid). Conoscere l’effettivo rischio che corrono i giovani e sani ci consentirebbe di modulare le giuste misure per salvaguardare le popolazioni ad alto rischio, anche a costo di raggiungere l’immunità del gregge nelle popolazioni a basso rischio. Ma temo che ci vorranno ancora mesi per conoscere l’effettiva mortalità.

Vediamo solo la punta dell’iceberg?
Il consenso emergente nella comunità scientifica è che il CFR da COVID-19 è stato inizialmente sopravvalutato e il suo R0, il rapporto di riproduzione del virus che indica la velocità di contagio, è stato inizialmente sottovalutato. Inizialmente l’OMS ha stimato una mortalità tra l’1,5% e il 3% e un R0 di 2,5, il che significa che in media un individuo infetto dovrebbe infettare 2,5 persone. Una volta che il virus ha iniziato a diffondersi al di fuori della Cina (che ha ampiamente sottovalutato il numero di casi reali), l’OMS e altre organizzazioni rispettabili hanno rivisto al ribasso le loro stime sul tasso di letalità effettivo (IFR, dall’inglese Infection Fatality Rate) e al rialzo quelle sul R0.
Nonostante Italia, Regno Unito, Olanda e Spagna riportino al momento tutti CFR superiori al 10%, l’Oxford Centre for Evidence-Based Medicine ha rivisto la stima puntuale per l’IFR a circa lo 0,3% e la stima dello CFR allo 0,72%. Le loro stime ottimisitiche dipendeno molto dai dati islandesi. Nelle loro stesse parole “Il più alto numero di test svolti in Islanda, la popolazione più piccola e la loro capacità di accertare tutti i cittadini infetti significa che possono ottenere una stima accurata del CFR e dell’IFR durante la pandemia (la maggior parte dei paesi sarà solo in grado di farlo dopo la pandemia). I dati attuali provenienti dall’Islanda suggeriscono che il loro IFR è compreso tra lo 0,01% e lo 0,19% “.
Il CFR per l’Islanda sembra essere sostanzialmente in linea con quelli della Germania e della Corea del Sud, che sono altri paesi noti per aver testato ampiamente e, soprattutto, all’inizio dell’epidemia. L’Italia ha testato ampiamente quanto la Germania, ma purtroppo ha iniziato i test troppo tardi nel corso dell’epidemia e solo da allora ha iniziato a recuperare terreno. Dovremmo quindi aspettarci che la mortalità effettiva sia così bassa in tutto il mondo? Purtroppo la risposta non è così certa.
Il nostro miglior esperimento nella vita reale del contagio in un ambiente controllato è stata la nave da crociera Diamand Princess e anche da tale esperimento involontario abbiamo ottenuto prove piuttosto inconcludenti. Gli studi iniziali indicavano un IFR di circa l’1% nella popolazione di persone infette a bordo della nave da crociera. Tuttavia, studi di follow-up hanno rilevato che la media delle persone infette (67 anni) era superiore alla media dei passeggeri (58 anni), suggerendo che anche in un ambiente così controllato i giovani tendando ad essere più asintomatici. Nel complesso, questo studio in pre-pubblicazione ha scoperto che circa tre quarti degli individui infetti erano asintomatici o pauci-sintomatici e che l’IFR implicito corretto per l’età (cioè aggiustando il dato per tenere conto che i crocieristi sono significativamente più vecchi della popolazione mondiale) sarebbe inferiore allo 0,2%.
In uno dei primi test sierologici condotti in Europa, dei ricercatori tedeschi hanno testato a campione casuale gli abitanti del comune di Gangelt, uno dei più colpiti in Germania. Lo studio – che ha lo scopo di accertare il numero effettivo di persone infette – ha preliminarmente stimato un CFR dello 0,37% e una mortalità in eccesso dello 1,5x. Solo per darvi un’idea di quanto sia instabile l’attuale ambiente di ricerca medica, solo pochi giorni dopo la pubblicazione dei risultati parziali di questo sondaggio abbiamo appreso da un altro studio separato che la tipologia di esame del sangue eseguito a Gangelt è molto meno accurato di quanto si pensasse in precedenza. Tenendo conto dei problemi di accuratezza del test, l’effettivo CFR di Gangelt potrebbe essere più vicino all’1% che allo 0.37%.
Una scorciatoia per stabilire l’effettiva mortalità, evitando di basarsi su dati sporcati dalla scarsità del numero di test, è quello di guardare alla popolazione attiva attualmente più testata, ovverosia il personale sanitario. In Italia la mortalità tra i sanitari viaggia tra lo 0,3% e lo 0,4% mentre in America tale dato è di poco sotto lo 0,3%. Anche questi dati hanno però delle limitazioni. In primis, sappiamo che in Italia molti sanitari non sono stati testati all’inizio dell’epidemia. Molti possono essere stati infettati mesi prima di essere testati. In tal caso mentre il numeratore sarebbe accurato perché sono piuttosto certo che i sanitari morti non stiano sfuggendo alle statistiche ufficiali, il denominatore sarebbe ancora sottostimato perché non tutti i sanitari che sono stati contagiati prima che cominciassimo a testare vengono accuratamente contati. Un ulteriore problema è che molti medici ed infermieri sono stati colti dal virus in un momento in cui erano esausti da turni massacranti. Questo ha sicuramente portato in alcuni sanitari ad un peggioramento dei sintomi che non sarebbe avvenuto se fossero stati contagiati in un momento in cui le difese immunitarie non fossero state già compromesse dallo sfinimento.
Con tutte queste prove (sebbene non definitive) che il COVID-19 abbia una mortalità piuttosto limitata, non sorprende che i ricercatori rimangano sbalorditi dalle statistiche provenienti dai centri italiani più colpiti, Nembro e Alzano. In questi due paesi il numero di morti nelle prime tre settimane di marzo è passato da una media di 0,8 al giorno a una media di 6 al giorno (dati ISTAT), il che implica una mortalità in eccesso di circa 8 volte la media annuale per marzo. Questi sono numeri spaventosi che sembrano incompatibili con un tasso di mortalità inferiore all’1%. Cosa ci sta sfuggendo?

La teoria del punto di non ritorno
La risposta è forse nell’altro pezzo del puzzle, la velocità del contagio. I ricercatori dello CDC hanno utilizzato un set di dati più completo dell’epidemia cinese per stabilire un R0 mediano di 5,7 , il che implica un raddoppio degli individui infetti ogni 2,3-3,3 giorni. Questo aiuta a spiegare come questo virus è stato in grado di diffondersi da Wuhan in tutti i paesi del mondo in meno di tre mesi. E questo potrebbe anche spiegare come il virus sia stato in grado di infettare rapidamente un vasto numero della popolazione in un piccolo paese italiano nel giro di poche settimane.
Il risultato catastrofico della Val Seriana potrebbe essere dovuto a una sfortunata serie di fattori ed eventi. In seguito approfondiremo alcune delle teorie che circolano per spiegare il disastro che ha colpito questa parte dell’Italia. Tuttavia, vorrei prima soffermarmi sulla più ovvia delle teorie che non necessitano di particolari altri fattori per essere verificate al di fuori della pura contiguità, o meglio, della sfortuna. Espongo dunque la teoria del punto di non ritorno.
In questi paesi – per motivi ancora sconosciuti imputabili al semplice caso – il virus ha cominciato a circolare settimane prima della rilevazione dei primi casi in Europa. Per i fattori legati a come si svolge la vita sociale in questi centri urbani, lo R0 deve essere stata superiore alla media di 5,7. Possiamo assumere che il raddoppio delle infezioni fosse nella parte inferiore dello spettro dei 2,3-3,3 giorni. Assumendo un raddoppio ogni 2 giorni si passa da 1 caso a 64 casi in 14 giorni (e questo assumendo che ci sia stato un solo paziente-zero quando in realtà i “pazienti-zero” potrebbero essere stati un gruppo di turisti di ritorno dalla Cina, per esempio). A questo punto della curva epidemica (fine della settimana 2) però il virus non è ancora rilevabile. Dopo un’altra settimana (fine settimana 3) si giunge però a 512 infetti in un paese di 10.000 persone. I medici di cura locali iniziano a notare casi non comuni di polmonite ma non ci fanno poi troppo caso: il virus non è stato ancora segnalato al di fuori dell’Asia, perché mai dovrebbe essere in Val Seriana?
All’inizio della settimana successiva, le infezioni totali raggiungono 1.024 (10% delle popolazione local), i primi casi vengono rilevati nell’ospedale locale dove la maggior parte del personale sanitario è però già infetto, le persone iniziano a fluire verso il pronto soccorso, le infezioni nosocomiali peggiorano le cose perché il virus colpisce le persone più vulnerabili che sono ricoverate in ospedale per altri problemi.
Subentra dunque il governo che chiude scuole e fabbriche ma le infezioni continuano a verificarsi all’interno delle famiglie e la curva epedimica non si ferma immediatamente. Alla fine della quarta settimana ci sono 4.000 infezioni (40% del villaggio) e il virus inizia a devastare l’ospedale locale. Una volta messe in atto le misure di ristrettive il contagio rallenta considerevolmente ma il danno è già stato fatto.
L’ospedale è sopraffatto, il livello di assistenza prestato a ogni singolo paziente non è sufficiente a guarire anche i casi meno gravi. Gli anziani muoiono senza essere ricoverati in ospedale. Molti di questi avrebbero potuto essere salvati con la dovuta cura. Ai più giovani viene amministrato il tipo sbagliato di trattamenti, aumentando così sia il numero di decessi sia la lunghezza del ricovero. È un disastro colossale. Un virus che avrebbe dovuto uccidere circa 40 persone (l’1% di 4.000 infetti) finisce per ucciderne molti di più. Se pensate che stia esagerando, vi pregio di leggere questo triste rendiconto dalla prima linea della Lombardia. Non è scritto da giornalisti in cerca di click ma da medici e professori universitari. Quando hanno visto la punta dell’iceberg (il 10% del paese era infetto) era già troppo tardi per non schiantarsi contro l’iceberg (40% e passa di infetti).
Ricapitolando, la teoria del punto di non ritorno suggerisce che una volta che il virus raggiunge la massa critica senza essere rilevato, abbiamo già raggiunto il risultato peggiore possibile. Questo è ciò che molti credono sia successo a Bergamo e Brescia. Esistono altre cause, tra cui indubbiamente una grave negligenza nel modo in cui è stata gestita l’epidemia da parte di un sistema sanitario lombardo che sarà pure efficiente ma è anche privo di risorse umane adeguate a livello dirigenziale. Tuttavia, la causa primaria di questa catastrofe localizzata è stata la sfortuna di essere i primi centri europei in cui il virus ha raggiunto la massa critica.

La comprensione dei canali di contagio
Il Nord Italia sembra essere stato particolarmente sfortunato perché il virus ha raggiunto la massa critica nel momento dell’epidemia in cui la maggior parte degli infetti era concentrata tra gli anziani. Ciò è probabilmente dovuto alle norme sociali che vedono una interazione molto marcata tra le generazioni nella vita quotidiana degli europei meridionali. Abbiamo prove che il virus è stato introdotto per prima in Europa in Germania, ma è stato in Italia e in Spagna che il virus ha iniziato a farsi sentire perché ha raggiunto la massa critica nelle case di cura e tra i membri più anziani della società molto prima che in Germania, dove invece c’è evidenza che il virus si sia inizialmente diffuso tra individui a basso rischio.
A questo proposito è interessante osservare come il Sars-Cov-2, pur dimostrandosi altamente contagioso, non sembri avere un alto tasso di attacco nei contatti a basso rischio. Mentre ci sono diversi casi studio epidemiologici che hanno cercato di ricostruire la catena del contagio di un gruppo limitato di persone, la maggior parte degli studi si concentra sugli eventi di “super-spreading”. Ad esempio, esiste uno studio cinese che mostra come una persona abbia infettato il 34% dei passeggeri di un autobus in un viaggio di meno di due ore. Sebbene questi casi di studio dimostrino come i portatori asintomatici possano provocare il caos se non vengono prese precauzioni in ambienti chiusi senza ricircolo d’aria, non si devono confondere con la norma.
Lo studio di cui parlavo in apertura dell’articolo è interessante proprio perché è una selezione casuale di una catena di contagio piuttosto che una catena di contagio eccezionale che è stata selezionata a scopi di ricerca. Questo caso “neutralmente selezionato” ha mostrato che le trasmissioni si sono verificate frequentemente pre-sintomatiche, al giorno di insorgenza dei sintomi e durante la fase prodromica, cioè quando gli infetti mostrano sintomi diversi da febbre e tosse ad un giorno all’inizio della malattia.
Questo non è dunque un virus che si diffonde sui mezzi pubblici o al supermercato. Si diffonde in uffici, ospedali e scuole e da lì infetta rapidamente intere famiglie. Maggiore è il numero di persone che vivono in una famiglia, più velocemente si diffonderà il virus. Questo è il motivo per cui Spagna, Italia e le minoranze etniche nel Regno Unito mostrano il più alto livello di contagio. Gli alloggi multi-generazionali sembrano il principale canale di contagio. Svezia e Germania hanno la dimensione familiare media più bassa in Europa (rispettivamente 2,2 e 2,1 membri per casa residenziale) e sono stati i due paesi in cui l’epidemia è stata più lenta sinora.
Non fraintendete questo come un modo per respingere le rigide misure in atto in tutto il mondo. Vi sono ampie prove aneddotiche che occasioni di incontro per gruppi estesi di persone come funerali o attività ricreative di gruppo sembrano essere gli eventi che innescano lo scoppio di focolai localizzati (si pensi per esempio alla festa per anziani nel comune di Fondi). Pertanto è di importanza monumentale evitare di organizzare feste durante questa pandemia. Allo stesso tempo appare però chiaro come, con piccole precauzioni, le persone possano ridurre al minimo il rischio di contagio anche quando prendono i mezzi pubblici o vanno in ufficio. La regola, che dovrebbe informare le politiche pubbliche in futuro, è che le persone che manifestano anche i sintomi più lievi dovrebbero auto-isolarsi immediatamente invece di presentarsi al lavoro.
Teoria della mietitura e mortalità in eccesso
Come è stato macabramente provato dal corso degli eventi, COVID-19 non è solo un’influenza. Mostra sintomi diversi e ancora misteriosi e, indipendentemente dal tasso di mortalità reale, ha già dimostrato di poter far crollare i sistemi ospedalieri più avanzati in pochi giorni se non viene controllato. L’influenza stagionale reclama molte vite ogni anno tra i segmenti più vulnerabili della popolazione (anziani, pazienti terminali, ecc.). Generalmente diciamo che l’influenza miete le morti dal “campo di grano” degli individui che sono sul punto di morire. Potrebbe il COVID-19 essere semplicemente una mietitrice più potente e più veloce dell’influenza?
Una delle caratteristiche che questa nuova malattia mostra costantemente in tutto il mondo è che le persone con patologie precedenti sono molto più esposte. La vecchiaia e una co-mobordità o due fanno salire verticalmente il tasso di mortalità. Esistono anche prove del fatto che i decessi per COVID-19 potrebbero essere sopravvalutati poiché persone che erano già in ospedale per altre condizioni potenzialmente letali sono morte dopo aver contratto il COVID-19. La congettura qui è che quelle persone sarebbero potute morire anche contraendo un’infezione batterica o un altro tipo di virus. E’ stato davvero il COVID-19 il responsabile della loro morte?
Sappiamo che l’Italia è un paese che si presta ad essere “mietuto”. Una lunga aspettativa di vita unita a un sistema sanitario universale, gratuito e abbastanza buono significa che la popolazione è anziana e sopravvive a lungo nonostante abbia diverse malattie croniche. In effetti, uno studio che copre il periodo 2013-2017 mostra che le stagioni influenzali particolarmente gravi hanno una mortalità in eccesso più elevata in Italia rispetto al resto d’Europa. Non sorprende quindi che una mietitrice così impressionante come il COVID-19 stia causando il caos in Italia.
Se questa teoria è corretta, l’elevata mortalità in eccesso dovuta alla pandemia (nel Nord Italia già raggiungiamo il doppio della tipica mortalità in eccesso di marzo) dovrebbe essere compensata da un minor numero di decessi nel corso dell’anno man mano che il “serbatoio” da mietere si esaurisce. Mentre è troppo presto per respingere questa teoria, sarà pressochè impossibile testarne la veridicità a pandemia conclusa perché sfortunatamente questa epidemia sta causando e causerà un eccesso di mortalità in altri modi indiretti.
Mentre le misure restrittive riducono le morti causate da incidenti stradali e sul lavoro e forse comportano anche un minor numero di morti violente a seguito di attività criminali, i sistemi ospedalieri sopraffatti peggiorano notevolmente il livello di assistenza fornito a tutti i pazienti. Le persone che finiscono in una terapia intensiva affollata per motivi diversi dal COVID-19 hanno anche loro maggiori probabilità di morire a causa della mancanza di cure adeguate. Inoltre, va detto che gli “arresti domiciliari” prolungati comporteranno un aumento dei suicidi per i malati di mente che sono rimasti bloccati a casa senza accesso alle cure nel momento in cui più ne hanno bisogno.
Non sapremo mai quanto il picco di mortalità in eccesso che stiamo vivendo sarà direttamente dovuto alla pandemia e quanto sarà una conseguenza indiretta. Quello che sappiamo è che il COVID-19 è destinato ad essere uno dei più grandi mietitori di morti di questo secolo. Quanti decessi totali causerà alla fine dipenderà dalla risposta dei governi ma anche dal comportamento del pubblico. Un’opinione pubblica informata potrebbe salvare molte vite, sia direttamente che indirettamente. Purtroppo, finora il pubblico ha ricevuto confuse linee guida governative e notizie fuorvianti. Speriamo di correggere la rotta prima che sia troppo tardi.

Lorenzo Coccioli