Pubblicato il primo vero studio epidemiologico: boom di asintomatici e “immunità” dei bambini
Questo articolo è una traduzione (con qualche aggiunta) di un articolo pubblicato in lingua inglese su questo link:
http://substantialupgrades.com/covid-19-mysterious-asymptomatics-and-how-to-find-them/
Se state prestando attenzione alle notizie sulla pandemia in corsa, avrete probabilmente già sentito parlare dell’importanza del test sierologico. I test antigeni in fase di sviluppo, insieme a quelli già in uso, mirano a contare il numero di persone che sono già state infettate e teoricamente immuni alla malattia. La necessità di condurre questi test nasce dalla certezza che stiamo ampiamente sottostimando il numero effettivo di casi COVID-19. I motivi per cui stiamo sottostimando il numero totale di infezioni sono principalmente tre:
1. il test PCR in uso (quello cioè fatto tramite prelievo di tampone faringeo) comporta un alto numero di falsi negativi, che alcuni quantificano fino al 30%, il che implica che molti soggetti che risultano negativi sono effettivamente infetti
2. mentre la capacità di eseguire test è stata aumentata in tutto il mondo, stiamo ancora testando solo le persone con sintomi significativi e all’inizio dell’epidemia abbiamo testato solo i casi più gravi
3. esiste una popolazione di portatori asintomatici o pauci-sintomatici di dimensioni sconosciute (e inconoscibili?)
Mentre per le prime due limitazioni dei dati abbiamo un’idea approssimativa di come stanno influenzando la sottostima, il terzo elemento è enormemente problematico in quanto non abbiamo ancora idea di quale sia la percentuale di infetti che non mostrano sintomi.
Le definizioni contano
Il confine tra sintomi lievi, pauci-sintomi e nessun sintomo è piuttosto sfocato. In generale, le persone con sintomi lievi (tra cui febbre, tosse e mancanza di fiato) sono chiaramente consapevoli di essere malati. Data l’attuale pandemia, è molto probabile che sospettino di essersi contagiati di Sars-Cov-2 e – se gli fosse data l’opportunità – si farebbero testare volentieri. Questa parte dell’universo delle persone infette è la più facile da gestire. Rimarranno a casa, eviteranno i contatti con i membri della loro famiglia e si isoleranno da due a tre settimane.
Le persone pauci-sintomatiche sono le più difficili da gestire. Corrono il forte rischio di contagiare altre persone perché non sono abbastanza malate da considerarsi malate e faranno circolare il virus nella comunità. Inoltre, le persone con pochi sintomi (si pensi qui a un lieve raffreddore, un po’ di tosse secca, magari del mal di gola o una temporanea diarrea) sono anche difficili da classificare. Se qualcuno con questi sintomi viene sottoposto ad un test per individuare la presenza di anticorpi un mese dopo aver manifestato tali sintomi, ricorderà di aver avuto tali sintomi? Se voi foste dei ricercatori che cercano di contare il numero di portatori asintomatici tra le persone con un test antigene positivo, considerereste queste persone come asintomatiche o come persone con sintomi lievi? Per non parlare del fatto che una volta che rivelereste la positività ai soggetti asintomatici, questi potrebbero iniziare a ricordare sintomi che non hanno mai realmente avuto.
Il mio punto qui è che non abbiamo un framework per definire la vasta gamma di sintomi correlati a COVID-19. Fino a quando la comunità scientifica non concorderà su una terminologia specifica, sarà molto difficile stabilire una vera percentuale di pauci-sintomatici.
L’ultimo gruppo di soggetti sono coloro che hanno un tampone positivo per COVID-19 ma che non mostrano alcun sintomo. Sono asintomatici, pre-sintomatici o post-sintomatici? Mentre all’inizio dell’epidemia i ricercatori erano propensi a pensare che la maggior parte degli asintomatici fossero effettivamente pre-sintomatici e che avrebbero cominciato a mostrare sintomi dopo il test, ora c’è consenso sul fatto che la maggior parte di queste persone sono effettivamente asintomatiche.
Il periodo medio di incubazione è di 4-5 giorni mentre i test PCR sembrano ottenere un tasso positivo più alto negli stadi più avanzati della malattia poiché la carica virale nella faringe (da cui vengono raccolti i tamponi) sembra aumentare di molto con il progredire della malattia. Pertanto è lecito ritenere che se un soggetto testi positivo in un momento in cui non manifesta sintomi, è probabile che non mostrerà alcun sintomo nel rimanente corso dell’infezione. È bensì altrettanto probabile che se la carica virale di un soggetto è bassa, il soggetto potrebbe non risultare positivo a seguito di tampone faringeo ma potrebbe testare sieropositivo agli anticorpi in un secondo momento.
Ma perché è così importante stabilire la vera percentuale di casi asintomatici? Nel futuro prossimo, perché consentirebbe ad una stima più accurata del tasso di mortalità. Ma ancora più importante per la corrente risposta all’epidemia, la percentuale di asintomatici informerebbe le linee-guida sull’uso delle maschere da parte della popolazione generale. Se risultasse che gli asintomatici rappresentino i tre quarti delle infezioni totali, diventerebbe di fondamentale importanza per tutti indossare mascherine in pubblico, specialmente al chiuso. Questa non è attualmente la linea guida dell’OMS, ma dovrebbe necessariamente diventarla se gli asintomatici fossero così diffusi.
Inoltre, anche se i veri asintomatici fossero meno di quanto si stima, ci sono prove che anche gli individui pre-sintomatici sono altamente contagiosi. Uno studio sui focolai cinesi ha mostrato che gli individui infetti hanno raggiunto la contagiosità massima 0.7 giorni prima di mostrare sintomi . Dal punto di vista delle politiche pubbliche, pre-sintomatici e asintomatici sono la stessa cosa: entrambi devono indossare delle mascherine!
Dati irregolari e inaffidabili
Date le limitazioni sopra descritte (inclusa la limitazione semantica della definizione di cosa sia un portatore asintomatico) non sorprende che nonostante contiamo attualmente 2,2 milioni di casi di COVID-19 in tutto il mondo, possiamo solo effettuare calcoli retrospettivi per stabilire la prevalenza asintomatica tra gli infetti. L’esperimento involontario della Diamond Princess avrebbe dovuto aiutare molto, ma i protocolli utilizzati per testare l’intera popolazione di passeggeri esposta erano piuttosto inaffidabili. Sappiamo da uno studio giapponese su un sottogruppo di passeggeri positivi che il 73% di essi presentava solo sintomi lievi o assenti. Sfortunatamente, questi ricercatori non si sono preoccupati di separare i veri asintomatici da soggetti con sintomi lievi, il che purtroppo è un problema comune a tanti lavori di ricerca finora condotti.
Abbiamo anche diversi studi cinesi di diverse province cinesi che cercano di definire la percentuale di asintomatici. I risultati vanno dal 15% all’80%, quindi non sono affatto informativi. Questa vasta variabilità nelle stime è dovuta a carenze nel processo di test, campioni mal selezionati, sintomi indefiniti e talvolta fallacie metodologiche lampanti. Insomma, dovremo aspettare un po’ per avere uno studio serio sui portatori asintomatici.
Gli unici studi che abbiamo come riferimento per provare a stimare la percentuale di veri asintomatici sono i primi studi sierologici condotti in Europa e negli Stati Uniti. Diamoci un’occhiata.
Vo’ Euganeo: finalmente un po’ di chiarezza
Sebbene la stampa italiana abbia riportato diversi risultati di test serologici nelle ultime settimane, il primo vero studio accademico è stato pubblicato (ma non è ancora stato peer-reviewed) solo ieri. Lo studio riguarda la cittadina veneta di Vo’ Euganeo che – come ricorderete – è stata una delle prime zone rosse d’Italia. Le autorità sanitarie venete hanno serologicamente testato più di tre quarti della popolazione locale, sia prima dell’inizio della quarantena che a fine quarantena, 14 giorni dopo. I risultati sono tra i primi al mondo a mostrare dati certi su tre questioni fondamentali:
– Efficacia del lockdown: la popolazione infetta è scesa a seguito del lockdown e i nuovi infetti durante il lockdown sono stati contagiati prima del lockdown o da un membro della famiglia durante il lockdown. In altre parole, nessun contagio extra-familiare durante la quarantena.
– Percentuale di asintomatici: il 43% dei positivi è rimasto asintomatico per tutta la durata dell’infezione, cioè il periodo intercorso tra un primo tampone positivo e due tamponi consecutivi negativi. Che io sappia, è il primo dato consolidato di questo tipo al mondo.
– Contagiosità dei bambini: sono stati testati 240 bambini tra gli zero e i 10 anni e NESSUNO è risultato aver contratto il virus, nemmeno bambini che vivevano con soggetti confermati positivi. Questo dato è straordinario e suggerisce che i bambini non siano dei portatori asintomatici del virus. Per motivi tutti da spiegare sembrano essere del tutto immuni. Incidentalmente, questo dato rende il 43% di asintomatici ancora più interessante perché se applicata alla sola popolazione adulta indicherebbe che più della metà dei contagiati è completamente asintomatico.
Alla ricerca degli asintomatici in Europa
Il trucco è abbastanza semplice: 1) si prenda una popolazione casuale (o la più casuale possibile), 2) si faccia un test anticorpale ad un campione rappresentativo, 3) si contino i sieropositivi, 4) si confronti il numero di positivi con i ricoveri COVID-19 nell’area. Ci sono altri aggiustamenti da fare per tener conto del fatto che molti dei sieropositivi sono stati infettati alcune settimane fa, mentre le persone che ora necessitano di cure ospedaliere sono state infettate in una fase successiva della curva epidemica. Il modo più semplice per tener conto di ciò è applicare un fattore moltiplicativo ai sieropositivi per tener conto dello sfasamento temporale.
Ad esempio, prendiamo questi dati olandesi recentemente rilasciati sui donatori di sangue. Il 3% dei donatori di sangue olandesi nelle ultime settimane di marzo e nella prima settimana di aprile ha sviluppato anticorpi COVID-19. Se applichiamo questa percentuale alla popolazione totale estrapoliamo 514.000 persone che sono già state contagiate nei Paesi Bassi alla fine di marzo (in media). Attualmente ci sono 9.400 persone ricoverate in ospedale per COVID-19 nei Paesi Bassi. Non c’è qui un grosso sfasamento temporale di cui tener conto perché le persone ricoverate in ospedale sono state mediamente infettate a fine marzo. Il tasso di ospedalizzazione stimato sarebbe dunque dell’1,8%. Questo non ci dice quanti del 98,2% dei soggetti non ospedalizzati siano (e/o siano stati) privi di sintomi, ma il fatto che il 3% dei donatori di sangue fosse positivo ci dà un indizio che un buon pezzo deve essere stato asintomatico poiché i donatori di sangue si guardano bene dal donare il sangue se recentemente hanno manifestato sintomi simil-influenzali.
Se questo suona come un mucchio di congetture è perché lo è. Posso trovare diverse ragioni per cui il calcolo di cui sopra potrebbe essere sbagliato. Siamo in una fase della pandemia in cui siamo ridotti a malinformate speculazioni su molte cose. Tuttavia, i dati preliminari segnalano una quantità significativa di portatori asintomatici perché continuiamo a ottenere risultati simili in tutta Europa. Gli studi sierologici su un campione casuale in Finlandia mostrano che le infezioni effettive sono almeno 12 volte i casi accertati e uno studio simile in Danimarca ha suggerito un moltiplicatore ancora maggiore di 70 volte. Quando gli indizi continuano ad accumularsi, si può cominciare a parlare di prove?
I dati provenienti dall’Islanda mostrano che solo il 6,2% dei casi attualmente positivi ha bisogno di ricovero ospedaliero e solo lo 0,6% ha bisogno di cure in terapia intensiva. Poiché sappiamo che l’Islanda è il paese con il miglior track record al mondo in termini di test, abbiamo un limite inferiore per la percentuale di casi lievi / asintomatici al 94%. Probabilmente è più alto ma quasi certamente non è più basso perché i dati islandesi – non dovendo fare affidamento sulla rappresentatività di un campione o sull’accuratezza dei protocolli come accade per i test anticorpali – sono i più accurati. Naturalmente, la contro argomentazione è che l’Islanda è un’isola remota con una popolazione che ha un profilo genetico piuttosto singolare. Non è certo che questi risultati possano essere rappresentativi della popolazione mondiale.
Misteriosi asintomatici negli Stati Uniti
Uno dei primi test sierologici randomizzati negli Stati Uniti è stato condotto nella Contea di Santa Clara, California, e ha riscontrato una sieroprevalenza tra il 2,5% e il 4%. Tuttavia, in tipico stampo americano questo primo test è stato spettacolarizzato ed è diventato una sorta di reality show con annunci per reclutare volontari su Facebook. Sarò scusato se non prenderò questo studio in grande considerazione dato che le persone che hanno manifestato sintomi simil-influenzali sono anche quelle con più probabilità di aver effettuato il test, sporcando così i risultati. Inoltre, la Contea di Santa Clara non è densamente popolata come la maggior parte dei centri urbani negli Stati Uniti ed è più bianca, più giovane e più ricca del resto del paese. È uno dei posti peggiori per analizzare la curva epidemiologica americana.
Un test più casuale è stato condotto a Chelsea, nel Massachusetts, dove i campioni di sangue sono stati letteralmente prelevati dai passanti nella strada principale del paese. L’unica regola per partecipare al test è stata che i soggetti precedentemente risultati positivi per COVID-19 sono stati esclusi. Un terzo del test è risultato positivo per gli anticorpi COVID-19 , suggerendo così una marcata circolazione comunitaria del virus a Chelsea. Non sorprende quindi che questa cittadina abbia uno dei più alti tassi di mortalità negli Stati Uniti dato che circa lo 0,1% della popolazione è deceduto a causa di COVID- 19. Questo tra l’altro implica un tasso di mortalità tra gli infetti di circa lo 0,3%, che inizia a essere un numero abbastanza ricorrente se avete già letto il mio precedente articolo su questi argomenti.
Entrambi questi studi hanno tuttavia gravi problemi metodologici. Sono peggio della maggior parte degli studi che escono dall’Europa ma meglio della maggior parte degli studi svolti in Cina. In effetti, i risultati più interessanti negli Stati Uniti non provengono da test sierologici pianificati ma da programmi di test PCR (con tampone) in comunità specifiche.
Per esempio, tra il 22 marzo e il 4 aprile un totale di 215 donne in gravidanza che sono state ricoverate per partorire negli ospedali di New York sono state testate per COVID-19. Mentre il 13,5% è risultato positivo, solo l’1,9% mostrava sintomi, il che implica un tasso asintomatico dell’86% su un campione di persone che attualmente hanno una carica virale tale da produrre un tampone positivo. La cautela qui è che le donne in gravidanza presentano condizioni piuttosto straordinarie in termini di risposta immunitaria, quindi non possiamo estrapolare necessariamente il loro tasso asintomatico a tutta la popolazione.
Infine, uno studio (non ancora peer-reviewed) esplora la situazione di un rifugio per senzatetto a Boston . Dei 408 partecipanti, 147 (36,0%) erano PCR positivi per SARS-CoV-2, ma solo il 7,5% stava sperimentando tosse, solo l’1,4% mancanza di fiato e solo un sorprendente 0,7% aveva la febbre. Mentre dormire in strada significa sicuramente essere più esposti al contagio, spiegando quindi l’elevata prevalenza di test positivi, essere senzatetto in sé non dovrebbe tradursi in avere più probabilità di essere asintomatici.
In conclusione, sappiamo che i portatori asintomatici sono molti, difficili da trovare e difficili da contenere. Con i lockdown in atto nella maggior parte del mondo, la pandemia continuerà a imperversare in focolai isolati e localizzati (rifugi, case di cura, ecc …). Questi ambienti sperimentali che si vengono a creare per caso devono essere sfruttati per la ricerca scientifica in quanto sono la chiave per comprendere la minaccia asintomatica di questo brutto virus che sembra agire al di fuori di regole epidemiologiche stabilite.
Lorenzo Coccioli