L’insostenibile leggerezza dell’essere donne. Geppi Cucciari conquista il Verdi con il monologo “Perfetta”
Il monologo di Mattia Torre andato in scena ieri al Verdi diverte e convince grazie, oltre che ad una magnifica scrittura, a una splendida Geppi Cucciari.
La comicità dissacrante e la riflessione disincantata di un grande scrittore dei giorni nostri – quel Mattia Torre autore di Boris, de La linea verticale, di Figli fra le altre cose che ci ha lasciato troppo presto l’estate scorsa – diventa l’abito perfetto per un’attrice, Geppi Cucciari, che ha fatto sempre di un cinismo intelligente la sua cifra stilistica. Così, parlare del ciclo mestruale, smette di essere un tabù e diventa un’autoanalisi collettiva, una sorta di viaggio alla scoperta di noi stesse e del paese in cui viviamo. Perfetta è uno spettacolo che viene scandito proprio dalle quattro fasi del ciclo femminile e che ne conserva il ritmo e i cambiamenti di registro, in una trasformazione da biologia a letteratura che esplora la ciclicità dell’essere donne. Ciclicità è una parola che diventa centrale nel monologo e che viene contrapposta alla linearità che caratterizza l’uomo; d’altronde i contrasti, le contrapposizioni, il continuo “gioco degli opposti” erano caratteristiche peculiari della scrittura di Torre, non solo negli argomenti ma anche nello stile: la comicità quasi portata all’estremo al servizio di una capacità di osservazione e di analisi della realtà che pochi hanno; il serio e il faceto che si guardano in faccia e decidono di mescolarsi per raccontare il Paese. Quello che racconta Geppi Cucciari nel monologo non è, infatti, solo la donna che interpreta. Intorno a lei si muove un universo invisibile sulla scena di interazioni, di tipi umani, di luoghi, di momenti di vita quotidiana, una vita routinaria che però riesce a trasformarsi e sembrare sempre diversa in ognuna delle quattro fasi, in cui cioè essere lunatica non è un insulto, una considerazione sgradevole, ma diventa ricchezza e consapevolezza di saper cambiare. “Io sono la Luna”, afferma ad un certo punto Cucciari, io posso cambiare. E passare dall’incanto al disincanto, dalla non sopportazione all’amore (“amo mio marito perché è gentile e la gentilezza è l’unico atto politico che ci è rimasto”), dall’apatia alla produttività sfrenata, da un dinamismo radiante all’apocalisse. E vedere, così, ogni volta lo stesso mondo in modo diverso, la stessa città, lo stesso quartiere da un punto di vista completamente differente. Il cinismo di cui è permeato il monologo non è spietato né assoluto, è una corazza per difendersi da una vita ingarbugliata ed è sempre al servizio di un racconto, mai fine a se stesso. Anzi, spesso si trasforma anch’esso e diventa poesia, tenerezza davanti all’incanto dell’Universo. Difficile immaginare un’interprete diversa per un monologo come questo, quindi. Geppi Cucciari è perfetta, dissacrante e poetica, cinica e delicata nel delineare le tante facce della femminilità. Quello che le donne non dicono, lo ha detto lei.
F. Taurisano