Al “Verdi”, due grandiosi Lo Cascio e Rubini portano in scena la cupa storia di Dracula, che fu l’ultimo vero capolavoro della letteratura gotica.
BRINDISI – Non c’era spettacolo migliore del “Dracula” portato in scena da Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini, per far materializzare sul palco quelle magiche trasformazioni del mondo che danno il titolo all’attuale stagione del “Nuovo Teatro Verdi”. La natura metafisica dell’esistenza e di ciò che la porta via, la morte, avviluppano i protagonisti di questa storia “succhiando” via la loro anima esattamente come Dracula – essere misterioso che rimane effettivamente celato per buona parte della storia – succhia il sangue per poter sopravvivere.
Alla fine, tutti saranno trasformati, in primo luogo il giovane protagonista Jonathan Harker, interpretato da un gigantesco e ipnotizzante Luigi Lo Cascio. Trasformati nell’anima, si intende, nella psiche, nel modo di vedere le cose. D’altronde sono proprio la psicologia e il percorso di Harker che Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi hanno voluto mettere a fuoco adattando per il teatro un romanzo in cui i protagonisti sparivano letteralmente dietro la storia e venivano quasi vampirizzati dalla più imponente figura di Dracula. Qui, a teatro, succede esattamente il contrario. Dracula c’è ma all’inizio non si vede, Dracula è una presenza-assenza, è un non personaggio, è una metafora della morte, dell’ignoto, di ciò che non conosciamo del mondo e di noi stessi.
Quando veniamo messi di fronte ai nostri limiti, alla nostra incredulità, cresciamo, come Harker che invecchia improvvisamente diventando canuto. Allo stesso tempo, oltre a spaventarci, l’ignoto, la morte in questo caso, diventa qualcosa di incredibilmente seduttivo, seducente, quasi erotico e cattura, confonde, stana lati oscuri dell’uomo, svela l’inconscio. Dracula, quando finalmente appare in scena e diventa un personaggio, non parla mai una lingua comprensibile né ai protagonisti in scena né al pubblico in sala, un artificio narrativo utile a tracciare la linea tra il compreso e il non comprensibile: l’incomprensibilità, la diversità fanno paura. Dracula è un mostro per tutti. Ma è anche un personaggio tragico, afflitto, dolente perché non può avere quello che vorrebbe più di ogni altra cosa: l’amore degli altri; seduce ma non è amato, morde il collo delle sue vittime cercandone il sangue, cercandone la vita perché lui è la morte e quindi l’anti-vita, rende le sue vittime esseri seduttivi ma infelici esattamente come lui.
Ad accompagnare Harker-Lo Cascio in questo quasi dantesco viaggio al centro del male, un magnifico Sergio Rubini che interpreta il professor Van Helsing; è lui ad incarnare la guida verso l’inconscio, una sorta di psicanalista ante-litteram che cerca di colmare la separazione netta tra chi sa e chi non capisce e a riequilibrare l’eterno conflitto tra scienza e superstizione. “Io voglio che voi crediate.”, dice Rubini ad un certo punto. “A cosa?”, gli rispondono. “A cose in cui non è possibile credere.“
Uno spettacolo ipnotico, destabilizzante, che accompagna lo spettatore nell’inferno dell’ignoto insieme ai suoi personaggi. Un intenso intreccio di eventi, scanditi dai viaggi lungo i luoghi della storia che rappresentano un metaforico viaggio dentro noi stessi. Attori in stato di grazia, messa in scena cupa, nel pieno rispetto della tradizione gotica a cui attinge la storia.
E alla fine, quando tutto sembra avviato verso il lieto fine, un porta si apre e un vento soprannaturale irrompe sulla scena e raggiunge anche gli spettatori. Per ricordare che, ormai, la trasformazione è avvenuta. Per i personaggi, che faranno i conti per sempre con gli eventi straordinari loro successi. Per noi, che ora crediamo anche all’impossibile.
F. Taurisano