BRINDISI – “Manca il moderatore, perciò stasera non saremo moderati.” Si apre con una battuta l’incontro di ieri sera al teatro Verdi di Brindisi con l’attore, regista e drammaturgo pugliese Sergio Rubini, mentre si aspetta che sul palco salga anche il critico cinematografico Fabrizio Corallo che insieme alla presidente dell’Apulia Film Commission Simonetta Dello Monaco ha animato la chiacchierata.
Perché questa è stata: una chiacchierata con un amico, un fratello, un artista di grandissima umanità e dolcezza che ha messo sempre la Puglia e l’amore per questa terra al centro della sua cinematografia. Anche quando nessuno ci credeva, ll’Apulia Film Commission non era neanche un’idea e “La Stazione”, opera prima del Rubini regista (girato tra Foggia e Apricena), introduceva nel cinema italiano un nuovo concetto di Puglia e nella Puglia un nuovo concetto di cinema; “fino ad allora il resto dell’Italia ci conosceva come quei meridionali simpatici e un po’ ignorantelli”, dice Rubini. “Insieme a Domenico Procacci (n.d.r. ora affermato produttore cinematografico con la sua Fandango) mettemmo insieme una specie di embrione della Apulia Film Commission, perché quando andammo dall’assessore a chiedere il permesso di girare, lui ci disse “Sì, ma voi fate lavorare qualcuno?” In fondo, l’Apulia Film Commission è proprio questo: non la Puglia come mera scenografia ma come vero e proprio laboratorio per formare professionisti del cinema, figure che con il loro talento e le loro capacità possano smettere i panni dello stereotipo pugliese a cui faceva riferimento Rubini. Secondo il regista pugliese, inoltre, il percorso della Film Commission regionale ha sicuramente arricchito la nostra terra e fatto conoscere zone che prima erano misconosciute. Per esempio il Salento. “Quando ero ragazzino, la parte più conosciuta e nobile della Puglia era il Gargano. Verso la fine degli anni ‘90”, confida Rubini, “venni in Salento ad Agosto, girai tantissimo e trovai alloggio senza prenotazione. Oggi, per fortuna, è impossibile. Significa che il turismo è cresciuto tantissimo.” Il primo esperimento di Rubini e Procacci costituì un viatico alla crescita degli investimenti del cinema in Puglia e oggi la Apulia Film Commission è la più produttiva tra le commission regionali d’Italia.
Ma se la Puglia non è solo una scenografia cos’è? “Quando entrai per la prima volta in Accademia a Roma, la prima cosa che imparai fu la dizione, togliere quel suono pugliese, quel modo di dire le vocali che ci caratterizza”, racconta Rubini. “Presto capii che la trasformazione di un suono era qualcosa di più, era anche una trasformazione antropologica e che dietro il suono, quel suono, c’era un’idea di mondo; se avessi perso quel suono avrei perso qualcosa della mia terra. Capii che il viaggio va fatto, sì, ma serve per poter tornare a se stessi. Se ambiento un film in Puglia non è per farne una cartolina ma per raccontare la parte più autentica di me.”
Quando si parla di luoghi del cuore e di come un luogo possa diventare il centro di tutto non si può non parlare del grande Federico Fellini, che aveva con la sua Rimini un rapporto unico e viscerale. Sergio Rubini ricorda l’incontro, da giovanissimo, col maestro riminese: “Complimenti, mi disse, somiglia alla sua foto. Gli attori in genere mi portano delle foto a cui non assomigliano.” “Assomigliarsi, restare fedeli, autentici, significa dare verità alle proprie azioni”, continua Rubini. “Anche se il Faro – lo chiamavano tutti così – mentiva spesso, ma nelle sue bugie c’era la sua essenza. Quando feci Intervista di Fellini, nel quale interpretavo lui da giovane, non gli somigliavo per niente e lui continuava a dire che eravamo identici; io sono sagittario e lui diceva a tutti Questo è Sergino, è capricorno come me. Fellini sentiva questo bisogno di mentire per gentilezza. L’artista è questo: costruisce con parole e gesti una realtà parallela, diventa un mago.”
E allora come il cinema può fare la magia e cambiare il territorio? “Prima di tutto divulgando delle immagini e dei luoghi.”, risponde il regista pugliese. “Poi, producendo delle competenze, fondamentali nel nostro mestiere. Se girare un film in Puglia non diventa sistema, c’è il rischio che sia solo una moda. Mentre diventare sistema significa iniziare a girare qualsiasi cosa in Puglia, anche degli interni, girare nel complesso, per evitare che sia solo uno scorcio o una scenografia. E poi con la memoria. Il cinema diventa una memoria e la Puglia ti chiede di andare a fondo, di conoscerne l’essenza, di ascoltare le voci che ti mettono in armonia con la tua infanzia. Ecco la storia. La Storia è importante perché non puoi essere contemporaneo, né immaginare il futuro se non hai la coscienza di chi sei e da dove vieni. Se sei spoglio di memoria, la ricerca del futuro è una ricerca da perdenti.”
A proposito di storia, i centri storici. Cuore, centro nevralgico di ogni città. “Recuperarli è fondamentale. Una città che ha un centro storico curato è come un corpo umano che ha il cuore che funziona bene. Se il centro/cuore è trasandato ne risente tutta la città/organismo.”, afferma Rubini; “in un posto in cui riecheggia il bello le persone possono crescere e migliorare.” E parla anche di Taranto, città bellissima ma ferita, dove ha da poco girato Il grande spirito. Nel film Rocco Papaleo interpreta un uomo con problemi psichici, che si crede un Sioux e crede che gli Yankee abbiano distrutto il suo territorio. “Una metafora per dire la verità sull’ILVA. L’arte deve raccontare anche il brutto, anche quello che non va, bisogna raccontare anche cose tristi. Raccontiamo le cose per aggiustarle. L’arte va fatta anche contro, perché quando è per rischia di diventare solo propaganda.”
I film di Rubini sono delle commedie. Con il retrogusto amaro della riflessione. “La risata tanto per ridere è deleteria, narcotizzante. Il pubblico invece ama pensare, ama essere stimolato. Non è vero quello che dicono: eh ma la gente vuole ridere, non vuole pensare. La crisi non è del cinema in sé e per sé, è del cinema come luogo fisico di aggregazione. Il cinema non morirà mai perché la gente ha bisogno di scoprire la propria storia tramite le storie degli altri.”
Infine si parla del film che verrà proiettato alla fine dell’incontro, L’uomo nero. “Parla di un passaggio naturale. L’uccisione metaforica di un padre per cominciare una nuova vita. È quando smettiamo di essere figli che diventiamo davvero uomini.”
Tra gli applausi del pubblico in piedi, Sergio Rubini saluta e va via. E ci lascia un po’ orfani della sua delicatezza, della sua umanità, della sua arte. Di quella, tutta sua, pugliesità. Il tempo che inizi il film, però. ‘Ché il cinema serve a questo: a ritrovare tutto.
F. Taurisano