EDITORIALE – Rossi, la sua sinistra salottiera e l’utopia (?) di trasformare un operaio in un creatore di start-up
BRINDISI – Nel post-elezioni che hanno incoronato Riccardo Rossi come Sindaco, si è parlato oltre i confini provinciali del modello Brindisi, con il Pd che al posto di guardare al centro è tornato a volgere lo sguardo verso sinistra, verso quel mondo fatto di associazioni e movimenti. Un modello che a Brindisi ha pagato dividendi in termini elettorali, con la città desiderosa di rompere il cortocircuito che vedeva da anni gli stessi personaggi decidere delle sorti della città dai banchi della maggioranza.
E l’esperienza politica brindisina attuale, sia in positivo che in negativo, sembra davvero rappresentare il distillato delle virtù e dei difetti della sinistra italiana. Un capitolo del libro “La notte della sinistra” di Federico Rampini, quello dedicato all’ambientalismo, sembra attagliarsi perfettamente alla realtà di governo brindisina, mettendone in luce l’equivoco di fondo che la stessa vive: come contemperare l’esigenza di evitare la fine del mondo con quella della classe operaia di arrivare alla fine del mese?
Rampini rende plastica questa dicotomia con un esempio illuminante: chi parla di green economy in termini astratti agli operai che lavorano nel campo dei combustibili fossili, fingendo che l’Ohio sia la California, che un operaio siderurgico, un autista di camion, un metalmeccanico si possa riconvertire con la bacchetta magica in un inventore di app o in un creatore di start-up, appartiene a una sinistra salottiera che con quei ceti ha smesso di comunicare.
Ecco, questa mancanza di aderenza alla realtà è proprio quello che sembra ammorbare questo governo cittadino, che di fatto appare sottovalutare (non si sa se scientemente o inconsapevolmente) che l’economia di questa città è ancora legata a doppia mandata alla propria area industriale e ai traffici portuali ancillari all’industria pesante. Per questa ragione, non si può pensare che la transizione verso un modello di sviluppo economico post-industriale possa passare soltanto attraverso incubatori d’impresa come quello in fieri a Palazzo Guerrieri o ipotetiche e ancora remote mire di sviluppo turistico, avendo accumulato in tali campi, tra l’altro, ritardi di lustri che determinano uno svantaggio competitivo non trascurabile verso le realtà limitrofe.
Ciò vuol dire che i progetti messi in piedi da questa Amministrazione in questi ambiti siano inutili? Affatto, anzi: sono fondamentali per accrescere il capitale umano, provando ad attrarre energie da altre parti d’Italia, perché la povertà di capitale sociale è forse il problema principale vigente in questa città.
Ma per i lavoratori impegnati nella zona industriale e nelle aziende che operano in ambito portuale, cosa si sta facendo? Riempie il cuore parlare di decarbonizzazione: quando però si toccano con mano i drammi personali dei lavoratori che escono dal ciclo lavorativo o che rischiano di uscirvi per via di una transizione energetica e tecnologica epocale, il cuore dovrebbe riempirsi d’angoscia. E la clamorosa retromarcia del Movimento 5 Stelle sui progetti futuri inerenti l’impianto siderurgico di Taranto dovrebbe essere valsa da lezione.
La speranza è che ogni “no” dato in pasto ai giornali da questa Amministrazione sia maturato a valle di una profonda analisi economica, di uno studio approfondito del contesto sociale e di un accurato esame di coscienza. La velocità con la quale sono stati esternati alcuni “no”, però, fa sorgere qualche dubbio in merito.
La semplificazione e il populismo, in fondo, non hanno colori: viaggiano attraverso le persone, attraverso la loro capacità analitica e la loro coscienza.
Speriamo sappiano davvero quello che stanno facendo, altrimenti il risveglio sarà oltremodo brusco per tutti.
Andrea Pezzuto